Sacra San Michele - Sapienza Misterica

SAPIENZA MISTERICA
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Sacra San Michele

Sacri Luoghi di energia

In Piemonte all’imbocco della valle di Susa, in cima sul monte Pirchiriano, uno sperone roccioso alto 962 metri dalla strada di fondovalle, fu edificato un santuario dedicato all’Arcangelo Michele, l’Abbazia di San Michele della Chiusa, chiamata anche Sagra di San Michele nella parlata popolare locale, il cui racconto di fondazione lo qualifica come terzo luogo scelto per sé dall’Angelo Michele sulla terra, esattamente a mezza strada tra Monte Sant’Angelo nel Gargano e Mont Saint Michel.In Piemonte all’imbocco della valle di Susa, in cima sul monte Pirchiriano, uno sperone roccioso alto 962 metri dalla strada di fondovalle, fu edificato un santuario dedicato all’Arcangelo Michele, l’Abbazia di San Michele della Chiusa, chiamata anche Sagra di San Michele nella parlata popolare locale, il cui racconto di fondazione lo qualifica come terzo luogo scelto per sé dall’Angelo Michele sulla terra, esattamente a mezza strada tra Monte Sant’Angelo nel Gargano e Mont Saint Michel.

 
IL MONTE SACRO
 
L’antico nome del monte Pirchiriano era Porcarianus, monte dei maiali, per analogia con i suoi vicini, Caprasio, Monte delle capre, e Musinè, monte dell’asino. Questi nomi sono legati alla religione dei Celti, e dei druidi, il cui emblema era il cinghiale. Nella facciata della cattedrale di Chartres vi è un asino che suona una lira e una scrofa che tesse. Non sorprende che questa montagna abbia ricevuto un santuario.

 
Figura 1. Monte Pichiriano Abbazia di San Michele

La tradizione vuole che il nome del monte sia stato modificato dopo la visione di Amizone vescovo di Torino, destato da un globo di fuoco con degli angeli in cima ad esso, nel periodo durante il quale l'eremita Giovanni Vincenzo vi fondò la prima costruzione della futura Sacra di San Michele: da lì, il nome greco Pir-Chirianos, cioè Fuoco del Signore, o secondo altri Città del Fuoco. Per questo la Sacra di San Michele ha questo titolo così insolito. Non un monastero, non un’abbazia, ma una “Sacra”, un posto consacrato dagli angeli di fuoco che accesero il monte Pirichiano in quella notte intorno all’anno mille.
 
Nei tempi antichi l’intero Monte Pirchiriano era abitato, o almeno frequentato, da popolazioni che hanno lasciato traccia di sé in vari reperti ora disseminati nel territorio circostante. Nel Neolitico questi antichi abitanti e custodi del luogo, i cosiddetti “Liguri”, eressero file interminabili di menhir per indicare, e fortificare, i sentieri della Geografia sacra. Si tratta delle “Ley lines”, o “linee sincroniche”, di cui tanto si parla oggi, accettandole o negandole del tutto, soprattutto a proposito della “linea di San Michele” che misteriosamente congiunge, perfettamente in linea retta, i seguenti luoghi: Gerusalemme, San Michele sul Gargano, Sacra di San Michele, Mont Saint Michel e altri due luoghi dedicati a Michele in Cornovaglia e Irlanda.
 
L’imponente costruzione che campeggia sulla vetta del Monte Pirchiriano a dominio della Chiusa della Val di Susa, nota come “Sacra di San Michele”, fu edificata in un’area collocata tra scoscendimenti montuosi, assai importante dal punto di vista militare perché unica via percorribile per chi volesse attraversare le Alpi passando per il Monte Cenisio. Già in epoca romana fu qui presente un presidio militare, il castrum romano fu poi utilizzato dai Longobardi, a guardia delle invasioni dei Franchi.
 
Sulla cima del monte, sorgeva dalla metà del VI secolo un piccolo sacello costruito dentro una conca scoscesa, appoggiata a un tratto della cresta del monte. Nell’antichità romana il sacello (latino sacellum, diminutivo di sacrum, recinto sacro) era una piccola area recintata e senza copertura al centro un’ara. Può trattarsi della riconsacrazione cristiana di un precedente culto prima celtico e poi romanico.
 
In un’epoca successiva, alla fine del VII secolo, una seconda abside di ampiezza maggiore, dovuta alla presenza dei Longobardi, molto devoti a san Michele, i quali detennero stabilmente il controllo della Chiusa, lo stretto e inevitabile passaggio verso le Alpi. Il culto micaelico, praticato dai Longobardi, fu ereditato dall’Imperatore Federico I Barbarossa, che lo trasmise al nipote Federico II von Hohenstaufen, che lo estese a sua volta nel Regno e nell'Impero. Nella chiesa di San Michele, a Pavia, altro luogo ad alta energia, fu incoronato il primo Re d’Italia.
 
La venerazione dell’Arcangelo è tipica degli spazi montuosi e impervi, come in Francia per l’Aiguilhe di Puy en Velay, e Mont St Michel, e in Italia Monte Gargano. Diffusosi ampiamente, s’ipotizza che il culto di San Michele Arcangelo fosse già presente in Val di Susa, dal VI secolo circa, proprio sul Monte Pirchiriano, una cappella dedicata all’Arcangelo. Sono noti i miracoli legati alle acque curative e le pratiche di Incubatio eseguite nei luoghi di culto dell’Angelo Michele, e le apparizioni frequenti in variati luoghi e spesso con indicazioni di dove desideri che sia costruito un suo santuario.
 
Per i due secoli successivi il sacello, rimasto ai margini della storia, non conobbe crescita; la zona fu interessata tra IX e X secolo dalle scorrerie saracene, responsabili tra l’altro della distruzione dell’Abbazia di Novalesa all’inizio del secolo X.
 
Tutto comincia alla fine del primo millennio, quando il vescovo di Torino Annuncone decide di edificare un tempietto dedicato a San Michele, inizialmente la sede scelta dal vescovo è il monte Caprasio, ma poi si preferisce il monte Pirchiriano. Qualche tempo dopo, nella seconda metà del X secolo il piccolo santuario è scelto come proprio romitorio da Giovanni Vincenzo, che ha deciso di abbandonare la carriera ecclesiastica per dedicarsi alla vita eremitica ritirandosi in una grotta, alla base del monte Caprasio di fronte al monte Pirchiriano.

 
Figura 2. Le prime tre cappelle sul Monte Pichiriano
 
La leggenda narra che una notte, San Michele appare in sogno all’eremita e gli ordina di ricostruire un luogo sacro. Giovanni obbedisce e decide di realizzare il desiderio dell’Arcangelo. La leggenda narra che Giovanni cominciò così a costruire la struttura, sul Monte Caprasio, i lavori non andavano mai avanti: ogni giorno posavano le prime travi della costruzione e ogni notte queste sparivano. Così egli decise di rimanere sveglio per svelare il mistero. A sorpresa, scoprì che non si trattava di ladri di materiale, ma di angeli che, comparivano con il buio e trasportavano il materiale dal monte Caprasio  in cima al monte Pirchiriano. Tra il 983 e il 987, appena dopo la cacciata dei Saraceni avvenuta nel 972, vengono secondo un cronista cluniacense ristrutturate le due cappelle primitive della chiesetta tricora, e alla fine del 900, è costruita dall’eremita Giovanni Vincenzo la terza cappella, più ampia delle prime due, anch’essa addossata alla roccia.
 
Un cronista dell’epoca scrive che Giovanni era vescovo di Ravenna. Infatti, lo schema compositivo della cappella attribuita a Giovanni Vincenzo, riflette modelli presenti nella città di Ravenna nel corso del VI secolo. La costruzione doveva senz’altro essere già ultimata a metà del decennio successivo, quando si data la fondazione del primo monastero benedettino. La data di costruzione del complesso vero e proprio è identificata tra il 983-987. La figura storica Giovanni Vincenzo, eremita ed ex vescovo di Ravenna, è importante solo in chiave simbolica, perché egli non è evidentemente responsabile della fondazione originaria del sacello sul Pirchiriano, perché è esistente già dalla fine settimo secolo, cioè tre secoli prima dell’epoca in cui si data l’opera del santo eremita Giovanni.
 
Il passaggio dal piccolo cenobio a un’imponente abbazia fu dovuto a un nobile francese governatore di Aurec-sur-Loire, nell’Auvergne. La cronaca religiosa relativa ai primi anni della Sacra racconta che nell’ultimo ventennio del decimo secolo, al tempo dell’imperatore Ottone il Giovane, il nobile signore di Auvergne, Hugues de Paillers-Montboissier detto “manibucate”, con la moglie Isengranda si dirigeva verso la sede del Papa a Roma consapevole di aver commesso innumerevoli e gravi peccati, e domandare il perdono. Il papa Silvestro II come penitenza gli raccomanda di costruire un monastero. Quando tornando in Francia, fece tappa a Susa ospitato da un amico, fu incoraggiato da questi a costruire il monastero presso il santuario di San Michele sul Pirchiriano. Il conte Hugues di Montboissier si convinse che era il luogo adatto per mantenere la sua promessa. L’esortazione umana venne sostenuta, secondo la cronaca (biografia di biografia di Pietro il Venerabile, XII secolo) da quella soprannaturale, poiché anche a Ugo apparve in sogno San Michele, per indurlo a costruire sul Pirchiriano, ricordandogli che questo era l’obiettivo ultimo della sua opera, cioè l’espiazione dei propri peccati.
 
Questa è la cronaca abilmente costruita come una leggenda sul soprannaturale, in realtà il segreto regista dell’operazione fu il monaco benedettino Gerbertus d’Aurillac anche lui nato nella regione nell’Auvergne (Alvernia) divenuto papa col nome di Silvestro II.
 
I grandiosi lavori commissionati dal conte Hugues dovettero inizialmente procedere nonostante il disappunto di Giovanni Vincenzo fondatore della chiesa del 972, perché eremita non ne comprendeva il senso. Giovanni Vincenzo accettò di tornare nel suo eremitaggio al monte Caprasio, ove morì poco dopo. Superata dunque l’opposizione di Giovanni Vincenzo, Hugues di Montboissier poté tornare in patria, nella sua Alvernia, sicuro che il monastero sarebbe stato costruito: prima però, secondo la cronaca, egli affidò la supervisione dei lavori al monaco benedettino Adverto cacciato per il troppo rigore dal monastero di Lezat (diocesi di Tolosa), anche lui originario dell’Alvernia. Anche i primi monaci giunsero direttamente dall’Alvernia.
 
Quando il conte Hugues Montboissier tornò alla valle di Susa trovando il cenobio quasi completo, e si dedicò agli aspetti economici, amministrativi e canonici: erogò altro denaro per la chiusura dei lavori, acquistò dei terreni vicini allo sperone di roccia, in una località chiamata Chiusa, dal marchese di Avigliana Arduino – che la cronaca attesta egli avesse già conosciuto nel corso della sua prima venuta. Per rendere la sua fondazione totalmente indipendente dal potere temporale locale. Si recò infine dal Papa, per raccontargli tutto quello che aveva fatto e far autenticare firme e rescritti concernenti l’autonomia dell’Abbazia, sia da parte dell’autorità del Papa di Silvestro II, che da parte della Maestà imperiale. Richiese e ottenne l’emanazione di un decreto secondo il quale, a pena di scomunica, quel luogo sarebbe dovuto essere dichiarato e ritenuto libero, cioè esente da ingerenze laiche ed ecclesiastiche.
 
Fu con ogni probabilità Gerbertus d’Aurilliac, cioè papa Silvestro II, che era in ottimi rapporti con la dinastia degli Ottoni, a sollecitare il riconoscimento da parte imperiale della stessa abbazia. La sacra di San Michele godeva dunque del privilegio di abbatia nullius, equiparata alla diocesi, indipendente dalla giurisdizione di un vescovo.
 

GERBERTUS D’AURILLAC - L’ISPIRATORE SEGRETO DELLA COSTRUZIONE DELL’ABBAZIA
 
Gerbertus d’Aurillac nasce ad Aurillac nel 950 in una famiglia più che modesta nell’Alvernia (Auvergne), zona della Francia definita come “la terra dei maghi“. La regione è sede di una catena di vulcani conosciuti collettivamente come “chaîne des Puys”.
 
L’Alvernia custodisce tuttora la sua Madonna Nera, a Puy en Velay. In tenera età a tredici anni, Gerbertus rimane orfano e in conseguenza di ciò è accolto nel monastero benedettino di Saint-Géraud, dove ben presto ha modo di distinguersi per una viva intelligenza, anche se il suo carattere vivace lo porta in più occasioni ad avere problemi con i quieti monaci.

 
Figura 1. Papa Silvestro II - Gerbertus d’Aurillac
 
Si allontana dal monastero appena quattro anni dopo per entrare nel seguito di Borrell II, Conte di Barcellona, Girona e Osona, cui è stato consegnato dalle premure di un abate affinché gli sia concesso di raggiungere la terra di Spagna. A soli diciannove anni accompagna il suo conte nel pellegrinaggio più ambito, quello nella Città di Pietro, dove conosce dapprima il papa Giovanni XIII e in seguito l’imperatore Ottone I. Negli anni seguenti è nella Barcellona controllata da quel che resta del potere cristiano, dove approfondisce le sue conoscenze sperimentando in concreto la prossimità ingombrante di un Oriente ancora in splendida ascesa. Discorre di matematica ed approda all’astronomia, consulta testi nuovi, in una nazione all’epoca governata dai musulmani e, cosa inaudita per un sacerdote cattolico del tempo, segue a Cordova gli insegnamenti degli eruditi arabi e si appassiona alla cultura islamica. Il territorio spagnolo era sotto il dominio arabo. Al tempo gli Arabi eccellevano in ogni campo della scienza, e le loro conoscenze di astronomia, alchimia, fisica e filosofia erano grandiose e le nozioni della matematica erano impressionanti. Gerbertus rimase impressionato da questa cultura, e furbamente divenne mussulmano pur di entrare in possesso delle conoscenze più importanti.
 
Cosa Gerbertus apprenda dagli studiosi musulmani non lo sapremo mai di certo però, una volta ritornato in Francia, si guadagna immediatamente la fama di uomo più dotto dei suoi tempi al punto di essere nominato precettore del figlio dell’Imperatore, addirittura su segnalazione di Papa Giovanni XIII suo protettore.
 
Nel 982 Ottone nomina Gerbertus abate dei monaci di Bobbio, dove resta sino alla primavera del 984. Al suo arrivo a Bobbio trova l’abbazia fondata da San Colombano in uno stato di rovina totale. Va ricostruita pressoché daccapo, riprendendo le redini di una situazione che ha travalicato il limite. Gerbertus la ricostruisce. San Colombano è altra figura leggendaria, pare che i Longobardi si siano convertiti al cristianesimo per la sua opera di evangelizzazione. Si narra che nel 980 la biblioteca di Bobbio annoverasse 700 codici e abbia conservato 25 dei 150 manoscritti più antichi della letteratura latina esistenti al mondo. Questo immenso catalogo pare abbia ispirato lo scrittore Umberto Eco per la stesura del suo best-seller “Il nome della rosa”.  Sopra il portale d'ingresso della chiesa abbaziale, compare la scritta: “Terribilis ist locus iste”. In questa sede Gerbertus arricchì ulteriormente la sua conoscenza. Mentre l’Europa dimentica, il greco una lingua classica per eccellenza, a Bobbio si leggono le opere di Aristotele in lingua madre.   
 
Dopo questo periodo torna a Reims nel 991 è nominato arcivescovo di Reims, la sua stessa nomina è messa in discussione (per l’abiura fatta in Spagna) con tanto accanimento che lo stesso papa Giovanni XV è costretto a inviare in Francia un messo con ordine di sospensione del vescovo scomodo. Il 995 è l’anno del sinodo, che si pronuncia a sfavore di Gerbertus. Le accuse si fanno ancor più pesanti con l’ascesa al Soglio di Gregorio V. Il papa bolla Gerbertus come un impostore. Nel 996 però fu scomunicato e gli fu tolta la mitra. Poco dopo fu riabilitato, gli fu tolta la scomunica e fu negata sia la sua abiurazione del cristianesimo sia l’apostasia. Al papa restio non rimane che affidargli l’arcivescovado di Ravenna.
 
Nel 999 divenne Papa grazie all’influenza di Ottone III, che venne a regnare a Roma, sperando di poter ricreare idealmente l’Impero Romano. Infatti, Gerbetus, prima di essere eletto papa fu guida ed educatore del giovane imperatore Ottone III, cercò insieme con lui di restaurare l’ordine politico e religioso nell'Europa del Saeculum obscurum, idealizzando una renovatio imperii. Silvestro II fu persona coltissima, esperta di ogni arte e dotata sicuramente di una mente acuta e insaziabile. Su di lui circolano numerose storie e sia si voglia dar retta alle varie leggende nere, sia si voglia credere alla sua figura storica, ci si accorgerà di trattare di un uomo fuori dal comune. Silvestro II fu pubblicamente accusato dal cardinale Benno di essere stregone e incantatore. La “testa oracolare” di bronzo fatta costruire da Sua Santità che rispondeva con un si o con un no alle sue domande, era dello stesso tipo di quella fabbricata da Alberto Magno.
 
Silvestro II fu anche il primo papa a richiedere una crociata (ma la prima sarebbe partita anni dopo) e sostenne la cristianità durante la grande paura dell’anno mille (Mille e non più mille). Si cosparse il capo di cenere la notte del 31-11-999 (notte di San Silvestro), quando tutta Roma invocò la pietà divina temendo la fine del mondo.
 
Nel 1003 la vita di Silvestro II giunge al termine. Proprio come per il suo predecessore Gregorio, aleggiano consistenti sospetti di avvelenamento sulla fine del pontefice. Si è scritto che è stato avvelenato da Stefania, la vedova di Crescenzio, che Ottone III, fece sua amante, dopo aver fatto uccidere il marito a Castel Sant’Angelo. Non per niente, si è detto che la giovane romana aveva avvelenato anche l'imperatore l’anno prima a Paterno. Fu sepolto a San Giovanni in Laterano. Con lui scompare uno degli uomini più colti del suo tempo. Quasi sette secoli dopo, papa Innocenzo XI fa aprire la sua tomba, per la meraviglia dei presenti che, impietriti, assistono allo spettacolo delle sue spoglie incorrotte. Ha ancora le braccia incrociate sul petto, la tiara della gloria maxima fa bella mostra di sé sul corpo intatto. Ma è una visione momentanea, l’esposizione all’aria lo muta in cenere nel giro di poco tempo.
 
Gli si attribuisce l´invenzione dell´orologio a bilanciere che fu in uso sino al 1640, quando al bilanciere subentrò il pendolo. Introdusse in Europa i numeri arabi e per conseguenza il sistema decimale, base della nostra aritmetica. Si dice che da una delle torri del Laterano contemplasse le stelle e poi le studiasse, sopra una sfera celeste da lui stesso costruita. È l´unico papa astronomo e matematico che abbia avuto la Chiesa. Per tutto il Medioevo corse la leggenda della sua magia, leggenda che si venne formando dopo la sua morte, perché nessuno dei suoi contemporanei, sopra tutti Richerio suo grande amico e che dedicò al Papa quattro libri di storie.
SACRA DI SAN MICHELE E SAINT MICHEL D’AIGUILHE
 
Questo lunga digressione è stata fatta per spiegare perché Gerbertus d’Aurillac scelse come luogo e la costruzione di uno dei monasteri più importanti del Medioevo dedicati all’Angelo Michele, il monte Pirchiriano.
 
Non è una mera casualità che sia il conte sia il Papa erano di origine alverniate, cioè di Auvergne. Il sito rupestre individuato, quello del Pirchiriano, doveva essere assai congeniale tanto ad Hugues quanto a Gerbertus d’Aurillac, poiché appariva molto simile al picco su cui sorgeva la chiesa di Saint Michel d’Aiguilhe, e che ospitava una cappella consacrata all’arcangelo dall’anno 962 situata nella loro terra d’origine, l’Alvernia, nel territorio di Le Puy en Velay. Negli anni della fondazione del tempio sull’Aiguilhe a Le Puy, anche il benedettino Gerbertus si trovava nella sua terra d’origine poiché per la prima volta se ne allontanò, stando alle cronologie più accreditate, circa nel 970, quando si trasferì in Catalogna[1].

 
Figura 1. Saint Michel d’Aiguilhe Puy en Velay
 
Saint Michel d’Aiguilhe fu costruita su uno sperone vulcanico, l’intera Alvernia è vulcanica. Il monte Musinè vicino al monte Pirchiriano (il monte di Fuoco) sembra che sia di origine vulcanica. Secondo questa ipotesi il monte Musinè faceva parte del cratere di un antichissimo vulcano, che si estendeva dal Musinè al Pirchiriano e che aveva un cratere nella Valle di Rubiana. Questa tesi potrebbe essere confermata anche dai frequenti movimenti sismici che si verificano nella zona di Giaveno, del Monte Pirchiriano e della bassa Valle di Susa. Sempre per la forte presenza di magnetite, sulle pendici del monte accade un fenomeno strano, che la bussola indichi erroneamente il nord.
 
Nulla vieta, insomma, che l’idea di una fondazione sul Pirchiriano che ne ricalcasse una della regione di Alvernia fosse di Gerbertus, e che questi ne avesse parlato ad Hugues, suo conterraneo, per ottenere il necessario sostegno economico, in cambio di quello morale da parte dei monaci, assai auspicato nel Medioevo, che consisteva nell’assicurazione di suffragi per il fondatore di un’opera benemerita; similmente, era assai importante, per i pellegrini che provenivano dalla Gallia, avere un punto di appoggio, una fondazione di matrice franca con un ospizio amico, proprio di là dal confine, in terra straniera, e tale interesse doveva essere sia del conte sia del papa. Questi contatti tra il religioso e il conte, e la stessa decisiva influenza di Gerbertus sulla fondazione dell’abbazia, restano postulabili e assai verisimili indipendentemente dal fatto che, con buona probabilità, il nome del papa protagonista del racconto è frutto di una svista del narratore, poiché la fondazione dell’Abbazia deve essere assegnata, sulla scorta delle indagini archeologiche e delle testimonianze storiche, agli anni ’80 del X secolo, quindi più di un decennio prima dell’elezione di Gerbertus a Papa[2]. Il conte Hugues decide di edificare un monastero presso la chiesetta di San Michele.
 
Furono le conoscenze scientifiche e misteriche di Gerbertus a riconoscere in quel luogo un centro di alta energia. La cultura e le conoscenze di quel sapiente benedettino che fu Silvestro II, hanno fortemente condizionato le maestranze che lavorarono alla Sacra tra il X e l’XI secolo.
 
I lavori iniziarono il 21 giugno con il solstizio d’estate e come da regola l’abside della Chiesa fu orientata verso Est. Successivamente, il secolo XII segnò il periodo di massimo splendore dell’Abbazia che divenne, sia luogo di ospitalità e accoglienza per pellegrini, sia fulcro e centro religioso culturale di livello europeo. Così fu necessario ampliarla e la Chiesa fu ridisegnata. Fu impostata prendendo in considerazione l’equinozio, cioè la direzione dell’Est, il 21 di marzo, direzione che conserva ancora oggi.

[1] http://www.icra.it/gerbertus/   vol. 3/2012
[2] Gerbertus vol III - http://www.icra.it/gerbertus lettura vivamente consigliata.
IL MAESTRO D’OPERA GUGLIELMO DA VOLPIANO

La comunità dei monaci benedettini guidata dall'abate Advertus, chiamò il Maestro d’Opera Guglielmo da Volpiano, per progettare un maestoso piano della quarta chiesa, di proporzioni adeguate, sopra le tre esistenti. All’abate Advertus seguì l’abate Ermengaldo. Siamo fra il 1015 e il 1035, quando la cima del monte Pirchiriano è inglobata dalle strutture di questa nuova chiesa, detta di Ugone (Hugues), che rimane la parte occidentale, chiamata vecchio coro.

 
Figura 1. La Chiesa fatta costruire da Ugone (Hugues di Montboissier)
 
Una simile opera non poteva non avere un abile progettista, anche se non vi sono scritti che attestino che fu Guglielmo da Volpiano il progettista, è difficile pensare che non vi fosse la sua mano dietro la grandiosa opera. Nell’XI secolo l’abbazia possedeva una ricchissima biblioteca di manoscritti, ora conserva 80.000 volumi. Guglielmo da Volpiano fu anche il responsabile della costruzione dell’abbazia di Mont Saint-Michel, della quale disegnò personalmente la chiesa.
 
Rodolfo il Glabro nella Vita dell’abate Guglielmo riporta la storia di Guglielmo da Volpiano, il cui cavallo, mentre saliva un giorno al Pirchiriano, scivola e cade in un burrone, ma si ritrova incolume per miracolo, in piedi, senza ferite e danni alle briglie. L’autore afferma che il «miracolo del cavallo o della mula che scivola nel dirupo trascinando con sé l’uomo di Dio, è un classico dell’agiografia cluniacense» ed in questa biografia tale richiamo «nel racconto del Glabro l’intento di collegare la santità di Guglielmo a quella dei grandi abati di Cluny».
 
La sua vita di monaco e architetto o Magistri si svolse in Italia e in Francia. Secondo Louis Charpentier fu istruito in Borgogna dai Benedettini. Guglielmo è scolpito in un ambone anziché come un monaco, come un Cavaliere, nell’isola di San Giulio nel lago d’Orta. La scultura individuata come Guglielmo da Volpiano, si trova tra il leone di Marco e l’aquila di Giovanni. Si può ammirare una figura maschile, in posizione ieratica, con il mantello e le mani appoggiate su bastone con l’impugnatura a Tau a forma di spada. L’isola di San Giulio dove nacque è l’unica isola del lago d’Orta ed era un presidio militare.

 
Figura 2. Guglielmo da Volpiano con il Bastone a forma di Tau
 
LA QUINTA CHIESA
 
L'abbazia si trovava nel mezzo del percorso che collegava Mont Saint Michel al Gargano, destinazione di un numero considerevole di visite frequenti e di alto rango, ,a nuova chiesa diventa piccola, il numero di monaci, la fama del monastero, richiedeva un coro di vaste proporzioni. L'idea di una tale costruzione appartiene probabilmente all'abate. Ermenegaldus che guidò l'abbazia dal 1099 al 1130. Fu eretto un enorme fondamento che, in base all'ultima cima della montagna, avrebbe raggiunto la vetta, a quel livello poteva sorgere la quinta chiesa[1].

 
Figura 1. La Quinta chiesa, La sacra di san Michele
 
Questa trasformazione fu fatta da un grande Maestro d’Opera, il Maestro Nicholaus, che in seguito lavorò nelle cattedrali di Piacenza e Ferrara e nella chiesa di San Zeno a Verona.
 
A metà dell’XI secolo, la struttura dell’abbazia fu quindi affidata ai Benedettini, che ne seppero sviluppare progressivamente il significato spirituale, dando asilo ai pellegrini e protezione alle popolazioni della zona.
 
Nel tredicesimo secolo, l’abbazia aveva più di 100 benedettini e guidava 140 monasteri. Dal decimo secolo fino alla metà del 1300 l’abbazia visse il suo periodo di maggior gloria e prestigio. Nel 1379, per il malgoverno del corrotto abate Pietro di Forgeret, Amedeo VI di Savoia (il “Conte Verde”) chiese alla Santa Sede l’abolizione della figura dell’abate monaco e la sua sostituzione con un Commendatario. Questa nuova figura, interessata più ai profitti personali che alle sorti del monastero, non fu assolutamente in grado di contrastare la decadenza dell’abbazia. Il monastero fu soppresso nel 1621 da papa Gregorio XV. Dopo seicento anni di vita benedettina, la Sacra restò quasi abbandonata per oltre due secoli!  Fu il re Carlo Alberto che il 29 agosto 1836 ottenne da papa Gregorio XVI che l’abbazia fosse ceduta in perpetuo ai padri Rosminiani[2]. Contemporaneamente, il re affida loro in custodia le salme di ventiquattro reali di casa Savoia, traslate dal Duomo di Torino, ora tumulate in santuario entro pesanti sarcofagi di pietra.

[1] http://lieuxsacres.canalblog.com/archives/2007/07/16/5640468.html
[2] Antonio Rosmini portò avanti tesi filosofiche tese a contrastare sia l’illuminismo sia il sensismo. Ponendo l’accento, sull’inalienabilità dei diritti naturali della persona, entrò in polemica con il socialismo e il comunismo, postulando uno Stato il cui intervento fosse ridotto ai minimi termini. Nelle sue teorie il filosofo seguì le concezioni di Sant’Agostino e di San Tommaso, rifacendosi anche a Platone.
LA FORTEZZA DELLO SPIRITO
 
Il nucleo costitutivo dell’edificio è formato dall’abbazia, a cui si sono aggiunti nei secoli successivi il Monastero Nuovo, la Nuova Chiesa. Il monastero fu edificato sul versante nord della montagna ed era imponente come un vero e proprio castello: cinque piani, fortificazioni, biblioteca, refettorio. Spiccava una torre, detta della Bell’Alda.
 
Il sacro edificio, dall’aspetto abbaziale, ma al tempo stesso di fortificazione militare, si ergeva imperioso sulla vallata circostante offrendo al visitatore che l’osservava l’esempio di una vera roccaforte dello Spirito. L’Abbazia “posa salda, in alto, a sfidare le ingiurie del tempo e della natura”; si erge sulla roccia e si fa tutt’uno con essa creando ad una delle costruzioni monastiche più spettacolari d’Italia. La pietra, la roccia, riassume in sé un profondo significato. Inglobata nella costruzione, la roccia aspra, dura, anche se solida nella sua potenza; sopra, l’Abbazia costruita dalla mano del “Maestro Costruttore” che, pietra, dopo pietra, edifica la sua “chiesa”.
 
Non è casuale che la vetta del monte Pirchiriano è stata inglobata intatta nelle strutture del complesso architettonico tanto da affiorare dalla pavimentazione della chiesa, e l’identico procedimento sia stato adottato per Mont Saint-Michel in Normandia, e sia per Saint-Michel d’Aiguilhe presso Le Puy en Velay.
 
Quei Sapienti Maestri Costruttori sapevano che, per edificare un vero “Tempio dello Spirito”, bisogna saper basare bene le proprie fondamenta e da lì, passo dopo passo, modellare la propria pietra (grezza, irta e spigolosa) per “squadrarla”, per poi utilizzarla. Una pietra posta una dopo l’altra, può dar vita ad una costruzione svettante verso il cielo: un baluardo di difesa, una “fortezza”, un vero regno del silenzio e dello spirito proprio come la Sacra di San Michele. I 962 m di quota della basilica fanno impressione, non per la quota in livello assoluto, ma per il dislivello sul fondovalle, ben 602 m sulla strada S. Ambrogio-Chiusa S. Michele, e con una pendenza fino al 93%.
 
Fu un’impresa costruttiva audace; l’edificio fu costruito intorno ad un corno di roccia, e sulla sua punta si stende il piano della chiesa. Non stupisce che, almeno nella leggenda, siano stati chiamati in causa degli angeli, per la sua realizzazione, e ad uno di essi, tra i più potenti, l’area sia stata dedicata.
 
A cavallo tra X e XI secolo, il monastero dovette acquisire l’aspetto attuale, sviluppandosi in piani sovrapposti a quelli già realizzati entro il 1000, e assistendo al completamento della foresteria e dei rustici, oltre che alla costruzione della grande chiesa abbaziale sulla vetta del monte: fu questa l’opera più ardita, perché richiese l’aggiunta di un altro livello proprio sul vertice della rocca, con l’eliminazione dei tetti del precedente santuario di San Giovanni Vincenzo, che venne a costituire la cripta della nuova chiesa.
 
Chi volesse raggiungere in pellegrinaggio Mont Saint Michel, poteva recarsi sul ramo nord della via Romea da Chambery, attraverso Chamonix: si trattava, insomma, di uno snodo fondamentale per le vie di pellegrinaggio, posto in un punto assolutamente strategico, ciò che ne spiega l’immensa fortuna nel Medioevo.
 
I tre luoghi sacri micaelici Gargano e Mont Saint Michel e Sacra di Susa si trovano a circa 790 chilometri di distanza l’uno dall’altro (rispettivamente 790 e 770 chilometri), approssimativamente allineati lungo una retta che, prolungata in linea d’aria, conduce a Gerusalemme. Tale linea, tocca tracciata, partendo dal monastero sul Monte Carmelo (Palestina), giunge in Grecia, sull’isola di Symi nel monastero custodisce un’effigie del Santo alta tre metri, una delle più grandi esistenti nel mondo. Per giungere poi al Monte Sant’Angelo nel Gargano, in Puglia, prosegue in Piemonte alla Sacra di San Michele, la linea giunge in Francia a Mont Saint-Michel. La linea si dirige poi diritta verso Sud e si ferma in Inghilterra, a St. Michael’s Mount, un isolotto della Cornovaglia. Il tracciato comincia in Irlanda, su un’isola deserta, dove l’Arcangelo Michele sarebbe apparso a San Patrizio. E’ qui che sorge l’ultimo monastero: quello di Skellig Michael (“roccia di Michele”). In totale Sette santuari.
 
Tra questi tre luoghi di culto si è sviluppato, così, un pellegrinaggio micaelico in linea di oltre duemila chilometri, che possiamo definire come il Cammino dell’Angelo, perché, nel nome di S. Michele, attraversava buona parte dell’Europa occidentale e aveva spesso come meta finale la Terrasanta.

 
Figura 1. La croce energetica europea                                                
 
La linea di Michele che così si è formata partendo da Mont Saint Michael arriva fino al cuore del cristianesimo a Gerusalemme rappresentandone la lancia (o l’asta dello stendardo nelle rappresentazioni orientali) che sappiamo appunto simbolo di via e di percorso e proiezione dell’energia Micheliana nel tempo e nello spazio. Le grandi linee europee di pellegrinaggio, la via Longobarda e Francigena (verso Gerusalemme), la via di Santiago di Compostela, la via che parte dall’Abbazia di Hildeheim tracciano sull’Europa una croce solcata dalla fede e dal cammino di migliaia di pellegrini, rendendo vivo ed evidente l'aspetto dell’impulso Micheliano legato alla comunicazione ed al movimento, non solo di persone, ma d’informazioni e conoscenza.
 
Il culto dell’Arcangelo Michele è molto antico, l’imperatore Costantino I dal 313 d.C. gli tributò un culto intenso, fino a dedicargli il Micheleion, un imponente santuario fatto costruire in Costantinopoli, un altro imperatore Carlo Magno gli dedicò il Sacro Romano Impero, imitato poi dai sovrani francesi che, fino a Luigi XIII, gli dedicarono il loro regno.
LEGGENDE
 
LA FONDAZIONE                                
 
Figura 1. Affresco della leggenda della costruzione
 
 
Un affresco che espone la leggenda della fondazione legata alla Sacra di San Michele è ora collocato sulla parete nord del coro vecchio, all’interno della Basilica. Otto episodi per riassumere la leggendaria storia della Fondazione del Santuario:
 
  1. San Giovanni Vincenzo taglia le travi per la costruzione di una cappella dedicata a St Michael sul monte Caprasio (in alto a destra.)
  2. Angeli e colombe trasportano le travi dal monte Caprasio verso il Pirchiriano (in alto al centro).
  3. Un angelo conduce Giovanni fuori dalla grotta e gli mostra il monte Pirchiriano (alto a destra).
  4. L’Angelo lo conduce in direzione della Sacra (al centro).
  5. Il monastero già costruito è circondato da 3 fiamme che simboleggia l'aspetto Angelico (in alto a sinistra).
  6. La cappella ottagonale ai piedi del monastero (a sinistra).
  7. Il Vescovo di Torino Amizzone si avvicina alla Sacra per consacrare la cappella e scopre che è già stata fatta miracolosamente (in basso a destra).
  8. Il signore di Auvergne, Hugues de Paillers-Montboissier lascia Susa per la Sacra in compagnia di sua moglie Isengarde con una piccola scorta (in basso a sinistra).
 
 
LA TORRE DELLA BELL’ALDA
 
La leggenda si perde nella notte dei tempi, la versione più recente è che in un periodo in cui la Valle di Susa era percorsa da mercenari e conquistatori dediti ad ogni sorta di razzia, la gente terrorizzata si rifugiava sul monte Pirchiriano. Durante una di queste incursioni, un gruppo considerevole di valligiani si rifugiò nel complesso religioso sperando di trovarvi protezione: tra di loro, vi era anche una giovane di nome Alda, tanto bella da essere chiamata la bell’Alda. Per fuggire ai soldati si butta dalla torre, ma sorretta dagli angeli o dalla potente energia della Sacra, si poggia al suolo illesa. Alda iniziò a vantarsi di quanto le era accaduto, ma nessuno dei paesani volle crederle. Allora Alda s’infuriò per tanta incredulità e sfidò tutti proponendo il salto nel vuoto e morì. La stessa storia si narra per un altro santuario dell’Angelo Saint Michel d’Aiguille situato anch’esso su un picco vulcanico in Francia a Puy-en-Velay.

 
Figura 2. Abbazia di San Michele - La torre della bell’Alda
 
 
TEMPLARI
 
Una leggenda della Val di Susa narra che i Templari sarebbero saliti alla Sacra di San Michele arrampicandosi, a piedi e a cavallo, sul monte Pirchiriano ottocento anni fa. I Cavalieri del Tempio si sarebbero ritrovati nell’antica abbazia per trattare il passaggio di alcuni monaci alla Confraternita esoterica e religiosa dei Rosacroce. Tre croci templari incise nella pietra accanto alla porta dell’Abbazia, la Porta di Ferro, dimostrerebbero l’attendibilità dell’incontro[1].
 
Il più antico insediamento templare, nella zona risalente al 1170, fu presumibilmente quello di Susa. Indipendentemente dalla leggenda occorre ricordare che il Cavalieri del tempio proteggevano le persone sulle grandi strade di comunicazione e di pellegrinaggio le strade verso Compostela, la via Francigena erano sotto il loto controllo, una stretta collaborazione con i Benedettini è del tutto normale.

[1] http://www.iltorinese.it/i-templari-in-val-di-susa/
INGRESSO DELL’ABBAZIA
 
L’ingresso è in un’antica torre, la Porta di Ferro, così denominata per le lamine che ricoprono i battenti del portone; unico varco che si apre nell’alta muraglia che circonda l'ampia vetta della montagna. Da questa struttura difensiva, eretta all’estremità sud, si giunge percorrendo una rampa ai piedi del possente basamento dell’abbazia. A lato della salita si erge la Foresteria, vero e proprio edificio indipendente, che testimonia il cospicuo transito di pellegrini; quest’ospizio, risalente all’XI secolo, è fortificato e presenta una merlatura ghibellina. Addossato al maestoso basamento della chiesa, è collocato l’antico monastero, la cui costruzione prese avvio tra il X e l’XI secolo. La Prima Rampa con 51 gradini conduce ai piedi del Basamento che regge la grande chiesa. L’ingresso è situato sotto l’abside centrale coronata dalla loggia semicircolare detta dei Viretti.

 
Figura 1. Abbazia di San Michele[1]                                                
 
La facciata è la parte più maestosa e monumentale dell’Abbazia, massiccia, ha un'altezza di 41 metri. La base è già alta 26 metri e supporta la struttura della chiesa. In tutte le chiese la facciata è sempre localizzata frontalmente rispetto alle absidi poste dietro l’altare maggiore e contiene il portale d’ingresso; al contrario, la facciata della sacra è rivolta verso est dal lato abside, visibile dalla parte del monte rivolta verso la pianura Padana.
 
Un poderoso basamento, suddiviso in tre parti, alto 26 metri, dalla pietra di colore grigio ferro, sostiene l’edificio. In alto, sopra l’abside maggiore, una corona di arcate, una loggia ad archetti detta dei Viretti, anche per la colorazione verdognola della pietra, poggia su 16 esili colonnine, arricchite da capitelli, tutti diversi nella loro ornamentazione oltre che per la bellezza delle forme. Il numero 16 delle colonnine oltre a rappresentare il quadrato del quadrato perfetto 42=16, è un numero spirituale perché generato dall’Uno per crescita fino al numero stesso, per poi decrescere fino all’Uno, con 7 numeri: 1 + 2 + 3 + 4 + 3 + 2 + 1 = 16. Può essere visualizzato come somma del 3° e 4° numero triangolare: 16=6+10= 3D+4D, che accostati, formano una losanga, il rombo perfetto, che nasce sulla Vesica Piscis.

 
Figura 2. Il numero 16 - il rombo perfetto la Vesica Piscis
 
Il portale d’ingresso inferiore alla base della facciata è serrato tra due colonnine e due pilasti con capitelli raffiguranti dei leoni con schiena contro schiena, uniti per le code, simbolo degli opposti in equilibrio. I Due leoni, i Due trombettieri disegnati appoggiati di schiena che guardano in direzioni opposte per simboleggiare l’unione armonica dei contrari, dal Maestro d’opera gotico Villard de Honnecourt. I Due animali opposti appaiono in Egitto e in Mesopotamia.

 
Figura 3. Sacra di San Michele – Porta ingresso l’unione dei contrari
 
Per volere di Hugues de Montboissier (arrivato nel 999), fu iniziata la costruzione di una nuova e più ampia chiesa, proprio sopra i tre antecedenti edifici, che furono trasformati in cripta che si trova sotto il pavimento, e alla quale si accede attraverso una scalinata nella navata centrale.
 
La costruzione dell’edificio religioso, diviso in tre navate, si protrarrà fino alla fine del priorato di Benedetto I (1002-1045). L’abbazia però dovette apparire ancora troppo piccola perché ospiti l’intera comunità, tanto che l’abate benedettino Ermenegaldo, che resse l’Abbazia tra il 1099 e il 1131, ne avviò la costruzione di una nuova e di dimensioni maestose.
 
Fu probabilmente l’Abate Ermenegaldo a convocare uno dei più grandi Maestri d’Opera e scultori di quel tempo, il Maestro Nicholaus, che realizzò un imponente e arditissimo basamento, che partendo dalla base dell’ultimo picco del monte avrebbe raggiunto il livello della vetta, che divenne Il basamento della quinta chiesa. Si creò così uno spazio grandioso e degno della grande e potente abbazia edificata a quasi 1000 metri di altitudine, consacrata a S. Michele. Fu ricavato un immenso scalone che supera il dislivello di oltre venti metri, fino alla base della scala che poi raggiunge a sud il piano pavimento della chiesa.
 
Sul lato sinistro della scala, una colonna alta oltre 18 metri su cui poggiano le ampie arcate che sostengono il coro della chiesa. Seminascosto nell’ombra, inosservato al visitatore, in alto, al culmine del grande pilastro che sorregge la chiesa, troviamo inciso alla base degli archi, un Uroboros all’interno del quale si trova un uomo nudo, un piede dentro e uno fuori, una mano dentro e una fuori, un cappello a punta, come quello dei costruttori … un segno del Maestro? Il simbolo rappresenta il serpente della conoscenza che divora se stesso, e un uomo nell’atto di attraversarlo, che simboleggia l’inizio dell’opera, che termina con l’archivolto spezzato del portale voluto dal Maestro d’Opera Nicholaus.

 
Figura 4. San Michele Sacra di San Michele – Uroboros   
 
La scala di pietre verdi è chiamata Scalone dei Morti per la scelta fino al 1936, di deporre i resti dei monaci morti in nicchie lungo questa scala. Si tratta di una scala senza luce, l’illuminazione è verso est sulla facciata con due aperture: una monofora e un oculo.
 
La roccia che compare sul lato destro è parte della cima del monte Pirchiriano. La scala termina ad ovest in un portale che immette sulla terrazza alla quale, alla luce del sole: si tratta di un vero e proprio ingresso allo spazio celeste, perché immette nel punto più alto del monte. Il nome dato allo scalone può quindi derivare da questo simbolismo di resurrezione, oltre che dal fatto che esso era utilizzato come cimitero dei monaci.
 
Per raggiungere la Porta dello Zodiaco alla Sacra di San Michele, il visitatore deve salire un totale di 243 scalini, quasi in una sorta di “cammino ascensionale”. Il pitmene o più semplicemente la riduzione del numero 243 fornisce: 2+4+3=9 il numero nove, quello della perfezione, l’Iniziazione. Inoltre, il numero 243 è la quinta potenza del tre 35=3x3x3x3x3=243, tre è il numero perfetto spirituale, cinque è il numero dell’uomo; ma questo numero è anche la terza potenza di sette 73=7x7x7=243. La sostanza madre Una si modifica in tre aspetti o Guna, Tamas, Rajas, Sattva, o stabilità attività, ritmo. Questi tre qualità si combinano tra loro dando luogo a sette (6+1) combinazioni. Salendo i 243 gradini si ritorna alla sorgente si rinasce come Iniziati, dopo essere caduti nella differenziazione della materia. Ecco perché l’uomo dentro il cerchio è raffigurato nudo, come quando si nasce, ecco il significato dell’attraversamento del cerchio, dell’Uroboros.
 
Visto l’aspetto di questo luogo, due sono i principali simboli che vengono alla mente: la grotta e la porta del cielo. La caverna era per gli antichi una metafora del mondo. Particolarmente carica di significato è poi la scelta di costruire questo antro artificiale nel cuore del monte Pirchiriano, essendo pure la montagna immagine del “centro spirituale” del cosmo (strettamente legato al tema della grotta) ma anche evidente richiamo all’assialità verticale.

 
Figura 5. Abbazia di San Michele – Scalone dei morti
 
Abbiamo davanti a noi quindi un asse ascensionale, una metafora della salita dalla materialità delle cose terrene all’Assoluto della vita celeste, della comunione con Dio. Tutto questo, molto semplicemente rappresentato tramite la salita dello Scalone dei Morti. La scala rappresenta un tunnel con la luce che appare alla fine. Il significato è ben preciso: chi dopo un viaggio pericoloso ha varcato la Porta del Cielo ha lasciato a una a una tutte le materialità terrene fino ad abbandonare “lungo la scala” il corpo stesso e poter       congiungere quindi la propria Anima con Il Padre Spirituale.
 
Alla fine della scala ascensionale si varca la Porta del Cielo rappresentata dal Portale dello Zodiaco, opera del Maestro Nicholaus.

 
Figura 6. Abbazia di San Michele – La Porta del Cielo, o Portale dello Zodiaco
 
Attraverso la Porta dello Zodiaco si giunge alla terrazza con archi rampanti ed occupata in parte da altri scalini, conducenti a destra all’ingresso principale della chiesa. L’ala più settentrionale della Sacra, oggi in rovina, fu costruita per volere dell’abate Ermengardo come ampliamento del vecchio cenobio. L’imponente struttura, dominata dalla suggestiva Torre della Bell’Alda, oltre ad ospitare un gran numero di monaci doveva inglobare importanti ambienti come la biblioteca, le cucine, il refettorio e le officine.   
Il portale di accesso alla chiesa si apre sullo stesso fianco di quello dello Zodiaco e presenta una notevole strombatura decorata con colonnine policrome.
 
Figura 7. Abbazia di San Michele – planimetria
 
 
      


[1] Foto sito http://www.guidaspettacoli.com/pg/dv/mappa.php?pr=2&dv=838
 
IL MAESTRO D’OPERA NICHOLAUS
 
Magister Nicholaus è nome del Maestro d’Opera il quale concluso il proprio periodo d’apprendimento in Francia, forse a Chamalières, sosta alla Sacra di San Michele, negli anni 1114-1120 ove ci lascia lo splendido lavoro noto come la “Porta dello Zodiaco”. Questo è il risultato di un'esperienza maturata in terre franche che diverrà tipica sul percorso padano dove stanno fiorendo i grandi cantieri delle “cattedrali bianche”. In seguito lavora alla Cattedrale di Piacenza dopo il 1122, e incide il suo nome a Ferrara nel 1135 (nel portale del Duomo di cui fu Maestro d’Opera), e che nel 1138 lavora al portale di San Zeno a Verona. Tutte opere molto importanti. Si ricollega a Wiligelmo, il maestro che opera nel Duomo di Modena (1099-1110), ma ci sono inflessioni, modulazioni che derivano dalla Francia, in particolare da Saint Sernin a Tolosa, col Maestro Bernardus Gilduinus, la cui tavola d’altare è consacrata da Urbano II nel 1096.
 
Il suo nome è legato all’edificazione di altre monumentali costruzioni di quell’epoca. Nella Cattedrale di Modena si ricordano i bassorilievi di Niccolò e di Wiligelmo che mostrano episodi leggendari del ciclo bretone di Re Artù. L’inserimento di questi simboli a Modena, abbastanza inediti per l’architettura di quel periodo storico, sono da mettere in relazione alla presenza dei Cavalieri del Tempio.

Figura 1. Abbazia di San Michele – Maestro d’Opera?
 
 
A destra della porta d’ingresso della Chiesa è scolpito un volto austero attribuito a un monaco. Il cappuccio a punta sembra un berretto frigio. Uno dei segni di riconoscimento dei Maestri d’Opera è appunto il cosiddetto berretto frigio.
 
Il berretto frigio di color rosso nasconde il segreto delle orecchie d’asino; esso, legato al significato della conoscenza dell’ultima fase della Grande Opera, è considerato dagli adepti un importantissimo oggetto con valenze simboliche, il copricapo per eccellenza, il sigillo dell’Iniziazione; attributo dell’Adeptato, veniva posto sul capo del novizio nei Misteri Eleusini mentre venivano pronunciate queste parole: “copriti con questo berretto, vale più della corona di un re”. Ritroviamo il simbolismo dell’asino nella Cattedrale di Chartres e a Lucca nell’onocentauro l’asino con il busto di uomo, prossimo a staccarsi dalla parte inferiore di asino per diventare l’uomo perfetto in corpo e spirito. Nella simbologia dell’arte medievale in diverse chiese gotiche francesi l’alchimista è stato raffigurato come un uomo barbuto con il berretto frigio.
 
I Romani erano convinti che nel nome della persona fosse indicato il suo destino. Nomen omen è una locuzione latina che, tradotta letteralmente, significa “il nome è un presagio”, “il destino nel nome”, di nome e di fatto. Il nome del maestro d’Opera Nicholaus e con cui firma la sua opera alla sacra di san Michele ci rivela le energie spirituali dietro questo nome.
 
Si legge nel libro della Genesi che Dio, comandò all’uomo di imporre “un nome a ogni cosa ed essere vivente”. Tutto ciò ci riporta al collegamento tra forma e nome, che dal punto di vista iniziatico sta a significare: l’assonanza tra forma e suono.
 
Quando viene dato il nome a una persona, a una città, a un libro o a qualsiasi altra cosa, esso immediatamente libera una certa forza espressa nel numero che gli corrisponde. Tutti gli esseri, dalla prima emanazione divina, o “Dio manifestato” fino all’infima esistenza atomica “hanno il loro particolare numero” che distingue ciascuno di loro e diviene la fonte dei loro attributi e delle loro qualità come pure del loro destino. I Pitagorici insegnavano che le menti, le azioni e i successi degli uomini riuscivano conformi ai loro nomi, le cui vocali e consonanti corrispondevano ad Arithmòs, cioè numero, misura, ritmo. Platone considera il numero, il generatore e l’essenza dell’Armonia, che a sua volta costituisce la base del Cosmo, e quindi dello stesso essere umano. Proclo afferma che il numero sussiste sempre e si ritrova in tutto: nel nome, nelle proporzioni, nell’anima, nella ragione e nelle cose divine.

Nell’antica Roma il Nume era anche il Nome della Potenza che proteggeva la città, il Nomem-Numen, i Romani sapevano che il Nome o Nomen era la sostanza del Nume o Numen. Ecco spiegata la corrispondenza in latino tra i termini nomen, nome, numen potenza spirituale, e numerum numero, e infine omen presagio.

Questo metodo per l’assegnazione del valore numerico alle lettere si basa sull’associazione tra le lettere dell'alfabeto e i numeri da 1 a 9. Gli antichi Romani usavano solo 23 lettere, anziché 26 non conoscendo la J e la W, di origine anglosassone, mentre la lettera U fece la sua comparsa agli inizi del Rinascimento. I latini avevano infatti in età classica la sola lettera V, sia con il valore vocalico della U italiana di uno (come nel lat. vnvs), sia con quello semiconsonantico della u italiana di quale (lat. qvalis). La forma U della lettera V comparve nelle iscrizioni latine fin dal 2° sec. d.C.





Il nome NICHOLAVS è composto con 9 lettere, il numero dell’Iniziazione, dell’Iniziato Maestro Costruttore. Il valore numerico del nome Nicholaus utilizzando le lettere latine è 43. Il valore numerico 43 si riduce come pitmene a 4+3 = 7, il numero perfetto, colui che conduce a termine l’Opera spirituale nel mondo della forma, che sa cogliere il Giusto Momento. Il numero 43 è il 14° numero primo. Segue l’ordine del sette nei numeri primi. Il grembiule del Libero Muratore corrisponde al Numero 43, che simboleggia, 4 il quadrato, e 3 il triangolo.
  • Le vocali sono legate ai Ministri Divini, ai Logoi, e pertanto si riferiscono ai poteri spirituali.
  • Le consonanti si riferiscono al potere della personalità ai mondi della forma.

Il nome contiene 4 vocali. Il valore numero corrispondente alle vocali è 17, il 7° numero primo. Diciassette è la somma dei primi Quattro numeri primi 17 = 2+3+5+7 = 1p+2p+3p+4p, una forma diversa della Divina Misura, e la Tetractis dei numeri primi. L’importanza della divina misura è affermata dalle 4 vocali del nome. Il pitmene o la riduzione teosofica del numero diciassette dà otto: 17 = 1+7 = 8. L’otto è due volte 4 ed è quindi un numero che rivela l’interesse per la materia, ma all’interno di un equilibrio tra l’ordine terrestre e quello e quello celeste.
Il numero delle consonanti è 5, il numero dell’uomo. Il valore numerico associato alle consonanti è 26, numero che nasce dal raddoppio del numero primo 13, perciò ne esprime la dualità 2X13=26. Non è un caso che 26 sono i gangli del sistema simpatico del corpo umano e le 26 ossa della colonna vertebrale. Il numero 26 in tutto l’universo matematico è l’unico numero esistente interposto fra un quadrato (25 = 52) e un cubo: 27=33. Il valore numerico del Tetragramma cabalistico sacro, YHWH cioè del nome di Dio in ebraico, formato dalle 4 lettere ebraiche yod, hé, vau e hé, è: 10+5+6+5=26.[1].

[1] Vincenzo Pisciuneri - Arithmos III Nume Nomen Omen.
IL PORTALE DELLO ZODIACO
 
Intorno al 1114 giunse alla Sacra Nicholaus, uno tra i massimi esponenti dell’arte romanica: scolpì l’imponente, e bellissimo, portale dello Zodiaco, l’ingresso al Monastero vero e proprio, che sovrasta il cosiddetto Scalone dei Morti, il quale a sua volta sale dalla foresteria all’area monastica. Al termine dello Scalone dei Morti, a destra l’ingresso del Tempio attraverso un portale del XII secolo, detto Portale dello Zodiaco[1]. La porta dello Zodiaco fu colpita intorno al 1120 dal Maestro Nicholaus, affiancato da Pietro da Lione e da un terzo anonimo Maestro d’Opera.
 
Si doveva staccare il masso dal monte, poi necessario eseguire una prima sezione del masso, le parti venivano portate sino al piazzale di cava, ove gli scalpellini operavano. Il popolo dei costruttori proseguiva nella scala operativa che, passando dagli ornatisti, arrivava all’Imagier (lo scultore d’immagini), il Caput Magister ed infine il Maestro d'Opera, detentore dei progetti e dello scibile conoscitivo composto di sapere simbolico e totale raggiungimento tecnico. Egli era a capo dei vari Capi Magistri che formavano le Taglie e dettava gli incarichi attraverso un suo sottoposto, il Parlier, che aveva il compito di far da ponte tra i Magistri e i dettami del Magistro d’Opera[2].
 
Non sapendo spiegare perché sono decorate le facce interne delle lesene[3], mentre quella esterna è disadorna, hanno supposto che il Portale non sorgesse originariamente dove è ora, e ipotizzato che sia stato ricomposto nel sito originario a causa di un crollo strutturale o un terremoto.
Se ipotizziamo una simbologia ascensionale, visualizzata nella Scalone dei morti, la stranezza non appare più tale: il lato importante è quello interno perché tutto l’ambiente simboleggia l’ascesa al cielo mentre la parte esterna ha meno importanza in quest’iconografia. Il Portale dello Zodiaco è il vero centro del simbolismo della Sacra, l’opera di maggior interesse, e di più alto valore tra quelle conservate alla Sacra, che ci offre una ricca serie di sculture in cui sono racchiusi veri enigmi da decifrare. Il portale presenta dalla parte esterna 7 archi romanici a tutto sesto. Sette è il numero del mistero, sette sono le virtù, e sette sono i peccati capitali.
 
Il portale è costituito con 7 colonne a destra per chi sale, e 6 colonne a sinistra.

 
Figura 1. Abbazia di San Michele – esterno Portale dello Zodiaco
 
Sulla lesena di destra, per chi è sale, appaiono i segni dello zodiaco, mentre quella di sinistra accoglie sulla parte interna, in dodici riquadri formati da una treccia, le raffigurazioni di sedici costellazioni, dell’emisfero boreale e di quello australe.
 
Sulla parte interna della lesena di destra sono scolpite le dodici costellazioni zodiacali, che però sono effigiate in undici cerchi formati da due rami che s’intrecciano in spirali. I cerchi sono undici perché il terzultimo verso il basso porta due segni uniti, Libra e Scorpio. Ogni figura zodiacale ha il suo nome a fianco, inciso a stampatello con minuscoli fregi. Ecco i nomi letti dall’alto in basso: Aquarius, Pisces, Aries, Taurus, Gemini, Cancer, Leo, Virgo, Libra-Scorpio, Sagitarius, Chapricornus.
 
Il Maestro Nicholaus, ha lasciato incise sulle lesene alcune frasi che affermerebbero l’esistenza di più livelli di lettura. Sulla lesena di destra leggiamo: “Vos qui transitis sursum vel forte reditis / vos legite versus quos descripsit Nicholaus” - Voi che salite, o per caso ridiscendete, leggete i versi che scrisse Nicholaus. - Da notare in questo caso come l’accento sia effettivamente posto sul salire. D’altronde la salita verso il cielo non è mai stata immaginata come un’ascensione decisa e unidirezionale, ma al contrario come una strada tortuosa e piena di bivi: facile è sbagliare la via e ridiscendere nella materialità.

 
Figura 2. Abbazia di San Michele – Il messaggio del maestro Nicholaus
 
E poi, “Hoc opus intenda quisquis bonus / exit (…)” - Volga la sua attenzione a questa opera chiunque, capace, esca. Anche in questo caso, Nicholaus sembrerebbe spiegarci come la contemplazione della divinità e delle Porte del Cielo siano solo alla portata di pochi virtuosi.
 
Lo zodiaco contiene apparentemente delle stranezze, la prima anomalia è l’inizio della successione delle costellazioni zodiacali: è aperta dal segno dell’Acquario, e non l’Ariete, come accade di norma, e com’era pressoché obbligatorio nel Medioevo. Nicholaus mette come primo segno l’Acquario. Ciò contravviene alla consuetudine di far iniziare lo Zodiaco dall’Ariete, ma consente di avere, a sinistra e a destra, segni e costellazioni corrispondenti vicini tra loro in cielo.
 
La seconda anomalia è rappresentata dai segni dello zodiaco, che sono 11 anziché 12, troviamo unite la Bilancia tra le chele dello Scorpione. Si dice che quest’accostamento è motivato dal fatto che, anticamente la costellazione della Bilancia era inclusa tra le pinze dello Scorpione, il segno della Bilancia è considerato una più tarda invenzione dei Greci, e fu l’ultimo segno dello Zodiaco ad essere incluso nel cerchio astrologico nel III secolo a.C. In realtà, in questo portale in cui domina il simbolismo, la chiave di lettura è un’altra. A livello misterico o iniziatico, Vergo e Scorpio erano considerati uno, e i simboli dei due segni mostra la comune origine, c, e, dopo furono apparentemente separati e tra i due fu posta Libra o la Bilancia d. Le tre gamme alludono ai tre segni. La Bilancia rappresenta il punto di passaggio o d’inversione dell’energia che da luminosa e spirituale nella Vergine Celeste cade nella materialità rappresentata da Scorpio. La Bilancia rappresenta quell’eterno equilibrio che è necessario per l’armonia dell’universo, per la perfetta giustizia, per il compensarsi delle forze centripete e centrifughe, dell’oscurità e della luce, dello spirito e della materia. Inoltre, la Bilancia è l’emblema sia di Mercurio e sia di Michele Arcangelo, che aveva il potere di vagliare le anime prima del Giudizio, spesso rappresentato con la bilancia in una mano e la spada nell’altra mano.
 
Infine il Sagittario è rappresentato come un centauro dal corpo animale e busto umano che si appresta a scoccare la freccia. Il tema del centauro simbolo dell’uomo ancora dominato dalle passioni animalesche, che con arco insegue una cerva (simbolo dell’anima) è presente in molte sacre costruzioni templari gotiche e romaniche.

 
Figura 3. Sacra di San Michele – Sagittarius - Libra e Scorpio uniti
 
Un’altra particolarità è inserita nella rappresentazione del segno del Cancro: se viene capovolta infatti, si vede chiaramente la faccia di un vescovo con tanto di copricapo. Ritenere che ciò sia frutto di pura casualità è arduo. Certo è, che l’immagine pare raffigurare meglio un vescovo con tanto di mitra, e con un'espressione certo non rassicurante, anziché il segno zodiacale.
 

Figura 4. Sacra di San Michele – Il segno del cancro e la testa del vescovo
 
Sulla parte interna della lesena opposta, sono scolpite non sedici, come normalmente scritto, bensì 19 costellazioni, racchiuse in dodici quadrati ciascuna con il suo nome scritto sul lato destro. Si susseguono dall’alto in basso, e cioè dalle prime, boreali, alle successive, australi. Sono raggruppate tra virgolette le costellazioni in un solo quadrato. Rovinata la prima in alto ,manca il nome che potrebbe essere Ercole, seguono i nomi delle altre: “Aquila e Freccia”, “Delfinus e Pegasus”, Deltoton, Orion, “Lepus, Canis, Anticanis”[4], Pistrix[5], Eridanus, Centaurus, Cetus, “Nothius, Ara”, “Hydra, Vaso e Corvo”. Sul lato delle costellazioni si legge: “Hoc opus hortatur saepius ut aspiciatur” (Questo lavoro invita ad essere guardato più volte). Il primo verso della serie, proprio di fronte a chi sale, gli altri versi sulla parte interna.
 
Cetus e Pistrix definiscono di norma la medesima costellazione: nell’elenco scolpito da Nicholaus, però, figurano entrambi i nomi latini, e Pistrix è la didascalia che accompagna l’immagine della Nave Argo. Il codice degli Aratea di Igino, presente a Susa, dove Pistrix e Nave sono insieme. Il Maestro Nicholaus dimostra di aver attinto da un volume presente della biblioteca del monastero, un’opera particolarmente cara a papa Silvestro II, al quale si può ricondurre l’iniziativa di averla portata per la prima volta alla Sacra.
 
Tra Pegasus e Orione è raffigurata la costellazione Deltoton detta anche Delta, Triangolo, e Trigonon, come un Triskell celtico che si ritrova anche in alto sul sarcofago dell’abate Guglielmo. Per i Celti il Triskell rappresenta la triplice manifestazione del Dio Unico, i cui doni sono Forza, Saggezza e Amore.

 
Figura 5. Sacra di San Michele -  Triskell Trigonon                                                                    
 
Quanto alla collocazione di ciascuna costellazione, zodiacale o non zodiacale, in una delle due lesene, nessun segno sembra essere stato collocato casualmente nel posto che occupa: in questa ripartizione è rispettato un criterio astronomico, che privilegia l’abbinamento a ciascun segno zodiacale, e la giustapposizione ad esso nell’altro stipite, di una costellazione che gli è contigua nel firmamento, o che ha la medesima ascensione retta, e quindi sorge più o meno con esso nel cielo notturno. Il criterio descritto, di vicinanza in cielo di costellazioni corrispondenti, pare non essere rispettata nei soli casi di Eridano-Leone; Ceto-Scorpione/Bilancia; Idra- Capricorno: Eridano, Ceto e Idra sono le tre costellazioni acquatiche più grandi del cielo.

 
Figura 6. Sacra di San Michele -  Capricornus e Hydra dalle molte teste
 
L’attenzione è catturata dalla costellazione dell’Hydra, Il drago dalle molte teste combattuto e ucciso da Eracle in una delle famose “Fatiche”. Associata a Hydra troviamo anche Cratere, la coppa, e il Corvo. Il Cratere, o coppa forma in realtà parte del corpo dell’Idra, perché le stelle alla base della coppa fanno parte del corpo del Serpente ed entrambe le costellazioni le reclamano. È la coppa che ogni essere umano deve bere, piena di ciò che egli ha distillato dalla sua esperienza nella materia. Il Corvo, si estende al di sopra dell’Hydra e la becca. Il Vecchio Testamento inizia con un corvo, il Nuovo Testamento con una colomba: l’esperienza comincia con l’uccello della materia e finisce con l’uccello dello spirito.
 
Hydra, il serpente della materia, era raffigurata nelle antiche pitture come un serpente femmina e rappresenta l’aspetto materiale che vela e cela l’anima. Le teste dell’Hydra sono quelle della passione, dell’odio, dell’avidità, dell’aggressione, dell’ambizione e dell’egoismo. Essa si estende per oltre cento gradi sotto le tre costellazioni di Cancro, Leone e Vergine. Nella Porta dello Zodiaco all’Hydra corrisponde frontalmente sulla lesena opposta, il Capricorno, dello Zodiaco in cui cade il Solstizio invernale, l’antico Sol Invictus mutato nel cristiano Sol Salutis.
 
Il simbolo del Capricorno è rappresentato in modo particolare, testa di capro, corpo e coda di drago, ali di grifone. Prima di poter simbolicamente scalare il monte in Capricorno, deve uccidere l’Hydra. Il Cristo-Sole che muore e rinasce. Capricornus è il “luogo di nascita del Cristo interiore”, è il luogo della “seconda nascita” o Iniziazione. Il Capricorno è raffigurato con testa di capro, corpo e coda di drago, ali di grifone. La  vetta delle capre o Capricorno rappresenta il punto più alto dove la roccia incontra il cielo. Il simbolo di Capricornus è molto misterioso g, nasconde il mistero del Drago. Qui il Drago rappresenta il serpente della Saggezza.
 
                                    
 
Figura 7. Portale Zodiaco -  Scorpio-Libra e Cetus
 
Un’altra costellazione considerata oscura è Cetus, tradotto con Balena, un mostro marino con testa di drago, Tiamat dei Babilonesi. Cetus, il mostro marino, è il nemico dei Piccoli Pesci; uno dei grandi simboli dell’anima è il pesce che nuota nell’oceano della materia e Cetus, il mostro marino, è il simbolo di ciò che chiamiamo Male, che cerca di distruggere l’anima in incarnazione. Cetus nella porta dello Zodiaco è di fronte a Scorpio-Libra. Scorpio sta a mezza via fra due segni di equilibrio: Sagittarius e Libra. Libra segna un interludio o un notevole punto di equilibrio prima delle strenue prove di Scorpio. Dopo le quali Sagittarius riafferma l’equilibrio, poiché l’Arciere deve avere la mira, la mano e la postura ferme e stabili per scoccare la freccia, che se ben diretta e seguita, lo condurrà oltre la porta dell’iniziazione in Capricornus. Scorpio afferra con le chele Libra. La funzione di Scorpio è quella di procurare “punti di crisi” e “momenti di riorientamento”.
 
Nei lati che si guardano o frontali delle due lesene sono incisi tralci vegetali che s’intrecciano al cui interno figure umane e animali. Il lato dalla parte dello zodiaco è realizzato come un albero che affonda le sue radici nella bocca di un animale simbolo del mondo sotterraneo, con il viso rivolto verso l’alto. Il capitello superiore mostra dei green man, l’aspetto superiore dei green animal. Inerpicati tra i rami esseri umani e animali alati e non, ma soprattutto in alto una piccola figura nuda, l’unica in posizione frontale che pare sovrintendere a tutto quell’affannarsi in salita. Se osserviamo bene, si tratta di una donna, nuda con le gambe divaricate, e un ramo che esce dall’organo genitale femminile percorre tutta la lesena e ne costituisce il motivo floreale. La donna non appare eccitata, ma concentrata, le mani stringono il ramo come se fosse sotto sforzo come avviene in un parto, rappresenta il potere generativo della terra. In modo analogo in alto il green man emette due rami opposti dalla bocca che rappresentano le energie duali positive e negative a cui sottostà tutta la creazione. Entrambi i motivi sono collegati alla generazione fisica.
 
                                                                
 
Figura 8. Abbazia di San Michele – Donna nuda generatrice
 
La parte frontale della lesena opposta, il lato sinistro uscendo è anch’essa realizzata con tralci vegetali che s’intrecciano al cui interno figure animali. Non sappiamo perché la parte superiore risulta scalpellata o rovinata, e se c’era una figura umana come nella lesena opposta. Il capitello superiore è rovinato si può supporre da quanto è rimasto che fosse simile a quello posto sulla lesena di destra.
 
Leggiamo sulla lesena: "Hoc opus hortatur saepius ut aspiciatur" (Quest’opera spinge a osservarla ripetutamente) e “Hoc opus intendat quisquis bonus expendat / Flores cum beluis comixtos cernitis ” (Osservi quest’opera chi ne capisce il valore; separate i fiori dalle bestie), dove forse l’esortazione a separare i fiori dalle belve potrebbe essere anche vista come un invito a distinguere con attenzione il bene dal male[6].

 
Figura 9. Portale Zodiaco – Lesena di sinistra uscendo

[2] http://www.ferzinifrans.com/it/lavori - http://www.duepassinelmistero.com/lapicidi.htm
[3] La lesena è un elemento consiste in un fusto, a pianta rettangolare, appena sporgente dalla parete stessa, con i relativi capitelli e base.
[4] Lepre, Cane maggiore, Cane Minore.
[5] Nave.
[6] http://www.villaggiomedievale.com/scheda.asp?ID=82.
I CAPITELLI MISTERICI DEL PORTALE

I capitelli sono tutti decorati con figure misteriche, e nella lettura di queste figure dal valore simbolico, l’uomo medievale era senza dubbio agevolato, in quanto per forma mentis era portato a ragionare per simboli. Il simbolo è una figura, un segno materiale, che richiama, evoca, una realtà astratta, un concetto, un’idea, di cui è la proiezione in questo mondo. Dietro a quelle decorazioni fitomorfe, a quei grifi o strani mostri, è nascosto un messaggio più profondo. Quegli uomini, mille anni fa, non volevano solo decorare ma, soprattutto, comunicare un messaggio attraverso la pietra che stavano lavorando. L’analisi di queste figure è ulteriormente complicata dal fatto che ad un significato “exoterico” chiaramente leggibile ai profani, vi è un secondo un livello, fatto di altri livelli nascosti di non facile interpretazione. La prima indicazione ci viene fornita dal numero delle colonne e dei capitelli. Sul lato destro del Portale dello Zodiaco, salendo i capitelli sono sette. Sul lato sinistro del Portale salendo i capitelli sono soltanto sei. La destra è considerata spirituale e si hanno 7 capitelli, il numero del mistero divino; la sinistra è considerata materiale, 6 capitelli, come le direzioni dello spazio, il numero della Grande Bestia, la materialità, è 666, tre volte sei.
La somma dei due numeri 7+6=13 fornisce tredici, il sesto numero primo. Il numero 13=7+6, può essere geometricamente scomposto nella somma della stella a sei punte, con una seconda stella a sei punte con il punto al centro 6+1=7.

Figura 1. Simbolismo del numero 13

Il numero tredici è quello che compone un capitolo templare, e dei grandi elettori 12+1=13 del Gran Maestro, ed è anche il numero necessario per fondare un nuovo monastero cistercense. Compare nella saga del Graal, e di Re Arthur, il tredicesimo posto vuoto è riservato al cavaliere predestinato, il capo dei dodici. Il posto vacante è pericoloso, per chi lo occupa indegnamente, sotto di esso si spalanca l’abisso o viene folgorato da sette mani di fuoco.

Nei sette capitelli del lato destro del Portale, sorretti da colonnine di cui due tortili, due a sezione circolare, due a sezione quadrata e una rettangolare (losanga). Su tre capitelli personaggi umani per scene bibliche e allegoriche. Su tre capitelli motivi floreali, nel capitello riferito alla losanga, una coppia di Green Man.

Sul primo capitello salendo, un motivo floreale con pigne, i pomi del pino. Il motivo della pigna con i frutti stilizzati a rombi è rappresentato nelle sculture delle cattedrali gotiche. Osiride, il signore della Vita e della Morte, è presentato col suo bastone regale che termina in cima con un cono di pigna. La pigna sull’Albero della Vita, fa maturare lentamente i semi femminili delle conifere, e nelle fasi successive il cono si apre per liberare i suoi semi maturi. Il frutto formato da tanti acini-grani come la pigna, la melagrana, il grappolo d’uva è sempre in relazione con l’elemento femminile. Un frutto formato da tanti acini-grani come la pigna, la melagrana, il grappolo d’uva è sempre in relazione con l’elemento femminile. La vite era considerata anche l’Albero della Conoscenza per cui la Mishnah, afferma che essa era quello della conoscenza del bene e del male. Su due capitelli troviamo raffigurate vicende relative all’Antico testamento. E precisamente sul secondo capitello su due lati diversi, sono rappresentati Caino e Abele intenti a porgere la loro offerta a Dio, che respinge quella di Caino, accogliendo invece quella di Abele, e Caino nell’atto di uccidere Abele, istigato da una figura diabolica posta alle sue spalle. Il terzo capitello a sezione quadrata riporta motivi a fogliame. Sui due lati del settimo capitello sono protagoniste le vicende di Sansone, scolpito nella parte frontale mentre scuote le due colonne del tempio dei Filistei, lateralmente compare con Dalila. Sansone era un consacrato, un Nazar, e come tale portava i capelli lunghi, nei quali risiedeva il segreto della sua grande forza. Sposò la cortigiana Dalila, alla quale rivelò il suo segreto. Questa gli rase i capelli e lo consegnò ai Filistei. Incarcerato a lungo, accecato, nel frattempo gli ricrebbero i capelli. Un giorno, portato al tempio di Dagon per far divertire i Filistei, si aggrappò a due colonne e le spezzò. Il tempio crollò seppellendo Sansone e migliaia dei suoi nemici. Il nome di Sansone lo si fa derivare da Shemesh, il Sole. Il sesto capitello mostra la scena di tre personaggi nudi e accosciati che si afferrano vicendevolmente per i capelli, accompagnata dalla scritta “Hic locus est pacis, causas deponite litium” (Questo è il luogo della pace, deponete ogni cagione di litigio). Così come nella cattedrale di Puy en Velay un’epigrafe chiedeva di rigettare ogni crimine prima di Superare la Soglia.

Figura 2. Portale dello Zodiaco lato destro

Il secondo livello d’interpretazione e messaggio che lo scultore ci lasciato fa riflettere sul simbolismo dei capelli e la loro funzione di catturare l'energia. Osservando con maggiore attenzione, si nota che uomini e donne disposti uno di fronte e l’altro di retro, ma che non stanno combattendo, hanno i piedi saldamente appoggiati sulla terra (simboleggiata dalla flangia alla base del capitello), le gambe sono piegate verso il basso. Le braccia piegate verso l’alto formano una croce a “X con un sapiente intreccio delle loro mani che tengono i capelli del prossimo. I punti salienti essendo rivolti al cielo, recuperano le forze cosmiche . E per fare questo, l’uomo deve padroneggiare l’emotivo, così lasciare da parte i litigi. Infine le donne sono rivolte verso l’interno e l’uomo verso l’esterno, simbolo della Polarità1. San Michele della Chiusa era un monastero di notevole cultura, dotato di uno scriptorium e di una fornita biblioteca che occupava “duas magnas domos plenas libris”. È logico ipotizzare l’intervento di monaci eruditi, in grado di elaborare profondi significati collegati alle immagini.

Sul lato sinistro del Portale salendo i capitelli sono soltanto sei. Due colonne a sezione circolare, una a sezione esagonale, due a sezione quadra e una rettangolare (la losanga). Non sono rappresentate scene bibliche.

Figura 3. Sacra di San Michele – portale lato sinistro

A sinistra, il primo capitello mostra delle donne che allattano serpenti, il secondo delle acquile, il terzo a sezione quadrata florealela losanga rovinata, il quinto un leone con la testa di Drago, il sesto sirenidi bifidi.

Figura 4. Sacra di San Michele - Donna che allatta Due Serpenti

La scultura sul primo capitello sopra una colonna esagonale è di non facile lettura. Si vedono due donne con gli occhi aperti, cioè vigilanti, che allattano serpenti, i quali provvisti di due teste, con l’una assorbono nutrimento dal seno della figura femminile e con l’altra, le mordono i talloni. La rappresentazione è considerata dai profani come evocatrice della lussuria, simbolo del peccato di cui mondarsi percorrendo l’itinerario spirituale di purificazione. Secondo il sapiente Giovanni Gaddo, che fu abate rosminiano della Sacra, si tratta invece di una libera riproduzione della Madre Terra nutrice di tutti, come veniva rappresentata nel Medioevo nel Praeconium paschale. A conferma di questa ipotesi la colonna esagonale su cui si regge il capitello. L’esagono rappresenta le sei direzioni dello spazio, la forza polarizzata della creazione che nasce dall’unione di due triangoli con vertici opposti.
Infine, la donna che offre i seni ai due serpenti ricorda anche la pothnia theròn mediterranea raffigurata come Signora dei Serpenti che brandisce nelle mani e altre divinità più primigenie cui ella rimanda.

Figura 5. Sacra di San Michele – Tre Aquile

Sul secondo capitello si ammirano tre aquile, le due aquile esterne hanno i piedi che artigliano un anello sollevato da terra e hanno le ali rivolte verso la terra. L’aquila centrale situata dietro del prime due ha le ali sollevate verso il cielo, e le gambe non sono più visibili. Energia cosmica per l’aquila centrale, energia tellurica per le aquile laterali.
Sul quinto capitello è raffigurato un leone con la testa e la coda di drago. Il Leone è la figura duale del Drago, ed è un indiscusso simbolo di Forza perciò è posto a guardia dello spazio sacro. Gesù è chiamato “il Leone della tribù di Giuda”. Il leone è accanto al Trono divino nel libro dell’Apocalisse (5, 5). Il Drago rappresenta la forza tellurica o terrestre, il Leone rappresenta la forza opposta, che nella rappresentazione trovano un equilibro.

Figura 6. Sacra di San Michele – leone testa e coda di drago

Infine sul sesto e ultimo capitello compaiono sirenidi, maschili davanti e femminili a lato, dal busto umano e doppia coda di pesce, con gli occhi chiusi come fossero in meditazione. Il sesto capitello di destra mostra un uomo e una donna con le braccia piegate verso l’alto formano una croce a “X con un sapiente intreccio delle loro mani che si tengono i capelli a vicenda. La scritta suggerisce che l’uomo deve padroneggiare l’emotivo, così lasciare da parte i litigi.

Osservando bene il Sirenide centrale, ha i capelli divisi a metà in mezzo alla testa, e a loro volta si dividono ancora a metà, il lato sinistro diviso in due parti intrecciate. I capelli sembrano due zampilli d’acqua, egli è il portatore dell’acqua del cielo, il fuoco. Non è casuale che la rappresentazione che mette in bella vista i capelli sia posta di fronte a due capitelli che hanno come tema diretto o indiretto i capelli. Il settimo capitello di destra raffigura le vicende di Sansone, la cui forza risiedeva appunto nei capelli. Il Sirenide non è nudo, ha un perizoma con 7 pieghe, sette è il numero del mistero. Le mani sorreggono la coda bifida che va verso il cielo. A lato una sirena femminile, ma i capelli sono divisi in due e non sono intrecciati, il perizoma è fatto con 3 pieghe anziché 7 come per il maschile.

Figura 7. Sacra di San Michele - Sirenide

La figura del sirenide maschile o per alcuni un tritone, ha la coda e unica, poiché non è stato mai rappresentato con coda doppia, con due ampie code squamose, che le rende simili all’ultima lettera dell’alfabeto greco “ω” omega, che può rappresentare la fine di tutte le cose: il principio e la fine riassunti nello stesso segno. Tutto ciò non può non far pensare al sigillo gnostico del Dio Misterico della Sapienza della tradizione ofitica, Abraxas, raffigurato in un riequilibrio dualistico: anch’esso, infatti, era effigiato due serpenti al posto delle gambe o delle code del sirenide, simbolo della sua eterna dualità. Gnostici, Vescovi, Priori Templari, cabalisti, massoni e occultisti si sono fregiati di tale sigillo, o strumento: chi per il riconoscimento, chi per l’operatività, e chi per entrambe. Non sono molti i sigilli templari che sono giunti a noi, attraversando le pieghe del tempo. Molti sono stati distrutti, o semplicemente perduti, in seguito alla sospensione dell’Ordine da parte del Papa Clemente V. Uno dei sigilli superstiti porta inciso la sagoma di Abraxas, prendendone quindi il nome, o in alternativa quello di “Gemma Gnostica”. Storicamente è fatto risalire al Precettore di Francia Andrè de Coloors, 1215 circa, riportante il motto: “Secretum Templi”. Il dio gnostico di Basilide lo ritroviamo anche sui sigilli appartenuti a Luigi VII, da Margherita di Fiandra, con la frase incisa Sigillum Secreti, dai Vescovi di Canterbury e di
Chichester, e da altri prelati. Tutti questi sigilli hanno una collocazione temporale che non pare superi il primo due decenni del 1200.

Figura 8. Sacra di San Michele – Grifone

La sesta colonna che ha come capitelli i sirenidi, ha come base due grifoni con becco d’aquila intenti a beccare la testa di un uomo. Il grifone era sacro al dio Apollo e alla dea Atena, le sue caratteristiche sono la forza, la vigilanza e la saggezza. Nel grifone i Maestri d’Opera romanici vedevano la doppia natura umana e divina proprio come la possedeva Cristo. La testa è considerata la sede della natura umana pensante, beccandolo o stimolandola dall’alto si deve causare un riorientamento dello sguardo, non più in basso, ma in alto.
Sulla base della losanga con i segni zodiacali, un leone simbolo della forza, accompagnato dalla scritta Leo. Nella parte superiore della losanga, il capitello mostra due teste di green man che mostrano l’emissione dalla bocca di una duplice corrente, che rappresenta gli opposti. Le due emissioni o correnti si avvolgono in due spirali orarie e antiorarie. Il motivo a doppia spirale associato alla testa, lo ritroviamo in Spagna, in Navarra, nella cappella templare di Santa Maria di Eunate.

Figura 9. Green Man - Sacra di San Michele – S.M. di Eunate

L’emissione dei rami e del fogliame da un uomo verde forma l’immagine dell’Albero di Vita. È il sottile riferimento con la rinascita della Natura, con la Primavera e con la rinascita dell’anima. La raffigurazione dell’uomo verde, il “green man”, che ingoia o rigurgita due rami è onnipresente nelle costruzioni sacre romaniche e gotiche, compare anche nelle colonnine del portale Ovest della cattedrale di Chartres(2).
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1. http://lieuxsacres.canalblog.com/archives/sacra_di_san_michele__italie_/index.html
2. Vincenzo Pisciuneri Notre-Dame De Chartres Templare I - I Segreti Della Facciata Ovest www.sapienzamisterica.it
LA CHIESA
 
Varcato il Portale dello Zodiaco, alla fine della scala, si giunge a un terrazzo posto sotto quattro archi rampanti, realizzati nel 1937 per sostenere l’inclinazione della parete meridionale della chiesa, verificatosi dal sovraccarico impresso dalla pesante volta a botte del Seicento e sostituita a fine Ottocento. L’artistico portale d’ingresso di tipo romanico della Sacra di San Michele in pietra grigia e verde che conduce in chiesa fu costruito nei primi anni dell’anno 1000. Vi sono 10 semicolonnine per lato unite a coppia dal rispettivo capitello floreale. Dieci è il numero della perfezione divina nella creazione. In termini pitagorici, il punto, la linea, la superficie, il volume: 1+2+3+4=10. Gli archi fatti a spigolo e a cordoni sono sostenuti da semicolonnine a capitelli floreali.
 
È sovrastato da un gocciolatoio che sulla destra termina con la testa di un personaggio con cappuccio a punta, e a sinistra terminava (ora mancante) con quella di un ragazzo. Le colonnine con archetti trilobati gotici e aggiunti tardivamente, sono i resti del portico che proteggeva il portale. I battenti della porta in noce, sono stati eseguiti nel 1826.
 
Figura 1. Portale ingresso Abbazia di San Michele
 
 

Il Portale conduce all’interno della chiesa la cui abside è orientata verso il punto esatto in cui sorge il sole il 29 settembre, giorno della festività di San Michele. Inoltre Superato il portone che da accesso alla Chiesa, alzando lo sguardo verso l’alto, nel punto di unione tra il Coro Vecchio e la navata, nella parete, tra due pilastri, vi è una finestrella circolare. Da questa finestra o “Oculo”, nel giorno del 29 settembre, al tramonto, i raggi del Sole colpiscono un volto misterioso scolpito sul capitello della colonna di sinistra rispetto all’altare.
 
L’interno della Sacra appare grande e solenne, nonostante le sue piccole dimensioni (22 metri dall’ingresso all’ex abside coro), l’abbazia ha tre navate separate da pilastri dimensioni ridotte. L’abside centrale è trifogliata e di dimensioni maggiori rispetto alle due laterali. La parte occidentale dell’abbazia termina con un ambiente a pianta irregolare che in origine costituiva l’antica chiesa realizzata dal conte Hugues; essa fu distrutta solo in parte perché non si riuscì a terminare del tutto l’abbazia nuova senza poter costruire una facciata.
 
La Sacra di San Michele piantata sulle diverse punte su cui termina il monte Pirchiriano, non solo si erge sulla roccia, ma da questa è in parte ricavata e vi è scolpita dentro, a punta di piccone; tanto che, non completamente vinta, la roccia appare, qua e là, persino nei piani più alti dell’edificio.
 
Anche nei capitelli interni troviamo grifoni, green man, e figure di uomini che come Atlante sembrano reggere il peso della volta. Rappresentazioni analoghe le troviamo nella cattedrale di Le Puy en Velay dedicata alla Vergine Nera.

 
Figura 2. Interno Abbazia – Capitelli con Atlanti che sorreggono la struttura – Atlanti Puy en Velay
                
Abbiamo un altro collegamento della sacra di san Michele con la regione dell’Auvergne da cui vennero sia il papa Silvestro II, e sia il conte, Hugues de Paillers-Montboissier che finanziò la costruzione dell’abbazia.                       
 
Figura 3. Abbazia di San Michele - capitelli con figure umane
 
 
Tra le figure che sorreggono la volta, un uomo verde che erutta dalla bocca due correnti di fogliame, le foglie rappresentate hanno cinque punte. Il numero 5 è riferito all’uomo.
 
Figura 4. Abbazia di San Michele - Uomo Verde
 
 
Il primo pilastro della navata centrale è appoggiato sulla cima del monte Pirchiriano (962 m) di cui è possibile intravedere la roccia, e trasuda un’energia incredibile, come uscente dalla punta di una lancia.
 
Un altro punto a maggior impatto energetico è situato sulla sinistra della Chiesa, subito dopo l’entrata: su una piccola piastrella in pietra che è di colore più chiaro. Collocandosi su quel punto si percepisce la potente energia tellurica propria della linea di San Michele.
 
Figura 5. Interno Abbazia - pilastro sulla cima della roccia
    
 
 
IL PORTALE DEI MONACI
 
 
Figura 1. Abbazia di San Michele – Il Portale dei Monaci
 
Di fianco al coro vecchio si trova il Portale dei Monaci che in passato conduceva nel monastero sottostante, ora conduce a un vasto terrazzo che si affaccia su una spettacolare vista di tutta la Valle di Susa, coronata da alte cime d’inverno innevate. Dallo stesso terrazzo si ha la vista sulle rovine dell’antico monastero, ultimo a essere stato costruito (XV sec.) e primo a essere caduto in rovina.
 
Il portale è diviso da un pilastro centrale adornato come le due colonne d’angolo. Si pone l’accento sulla dualità spirito materia e sulla necessità di trovare il giusto equilibrio tra gli opposti. Il timpano ha due portici trilobati. Il timpano trilobato fa vedere con la mente, la testa e le spalle di una persona. Altri due pilastri sono disposti ai lati di questo portale, che presenta analogie con il portale di ingresso nella Chiesa. L’Archivolto termina a destra con una testa che fa una smorfia ai rofani mostrando le mani ai lati della bocca.
 
Figura 2. Abbazia di San Michele – Portale dei Monaci testa con smorfia
 
 
 
 
LA CAPPELLA DEI MONACI
                                                                                                                       
Questa costruzione ormai in rovina è conosciuta come Sepolcro dei Monaci, perché attorno ad esso si trovava il cimitero dei monaci. La chiesa fu dedicata a S. Stefano fungeva da cappella mortuaria. Adesso vi sono solo delle rovine di una chiesa romanica, i resti nella zona crollata suggeriscono un edificio ottagonale, costituito da quattro cappelle rettangolari innestate alle estremità di una croce greca, collegate tra loro da quattro nicchie circolari. Riconosciamo il tipo “battistero” a forma ottagonale, il battistero nell’antichità era separato dalla chiesa come costruzione a sé. La sua costruzione risale all’anno 1000, in pratica contemporaneamente all’ampliamento del monastero. La cappella, nel 1661 “grazie” ai bombardamenti spagnoli fu distrutta e con essa una buona parte dell’abbazia. Una tradizione vuole che essa sia stata costruita su un antico tempio pagano.
 
Figura 1. Sacra San Michele rovine antica chiesa ottagonale
 
 
L’ottagono che nasce dall’unione di due quadrati tra loro opposti, spirito e materia, bene e male, caldo e fredo che non si possono annullare. Come figura geometrica rappresenta il risultato dell’impossibilità nella dimensione materiale di annullare gli opposti che devono trovare un equilibrio l’equilibrio costruttivo delle forme e delle forze del cosmo. Anche i Cavalieri Templari, nel loro simbolismo, avevano particolare predilezione per il numero otto: la Croce delle Beatitudini, che nei primi tempi fu il loro emblema ufficiale, trasformata poi in croce decussata, sempre con otto punte. Negli edifici cristiani, la forma ottagonale per eccellenza è il battistero, ma qui in cima al monte, vi era un’abbazia per monaci e certamente non si battezzava. Come cappella funebre potrebbe rappresentare il passaggio dalle tenebre della materia alla luce dello spirito.
 
La sacra di San Michele è legata alla lancia dell’arcangelo, che partendo da Mont Saint Michael passando per la Sacra di San Michele, proseguendo a Monte Sant’Angelo nel Gargano arriva fino a Gerusalemme. L’edificio sacro ottagonale staccato dalla sacra forse vuole riferirsi a un analogo edificio ottagonale, l’Anastasis, cioè il Santo Sepolcro di Gerusalemme.
IL PRIMITIVO SANTUARIO                                                                    
        
Il primitivo santuario di San Michele è composto di tre sacelli absidali, ai quali si accede scendendo dodici antichissimi scalini da una scaletta posta nel lato destro dalla navata centrale, presso il pilastro di destra. La cripta è composta di tre cappelle affiancate, nelle quali si riconosce il progressivo evolversi del romano oratorio castrense, divenuto poi Santuario di San Michele Arcangelo. Riguardo alle origini di tale santuario le fonti sono poche e incerte, ma gli studiosi concordano nell’individuare qui la prima Sacra e il momento storico originario del suo culto a san Michele. La cappella più a nord risale all’IX-X secolo; quella di mezzo, più ampia ed elaborata, costituirebbe un ampliamento dei monaci; la più vasta infine è quella la cui costruzione è stata attribuita a San Giovanni Vincenzo (intorno al 966) ed è quella che secondo la tradizione ricevette la consacrazione angelica.

 
Figura 1. Abbazia di San Michele – chiesa primitiva    
 
La cella eremitica fu riscoperta nel 1987 nella parte superiore del pavimento del corridoio che corre lungo il pavimento sotto l’ex coro. Si tratta di una piccola stanza, uno spazio stretto di 2 metri di lato. Al momento della sua scoperta, era riempita di macerie. Una volta eliminate, furono trovate due preziose monete d'argento coniate dai vescovi di Le Puy (fine X secolo) e di visconti di Limole (fine X secolo, inizio XI)[1]. Questa scoperta collega in qualche modo i due santuari dedicati a san Michele, simili per la posizione in altezza, e situati presso zone vulcaniche, e con medesime leggende.
 
Figura 2. Abbazia di San Michele – antica cella eremitica
 
 

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[1] http://lieuxsacres.canalblog.com/archives/sacra_di_san_michele__italie_/index.html
 
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