La scomparsa dell'Ordine del Tempio - Sapienza Misterica

SAPIENZA MISTERICA
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La scomparsa dell'Ordine del Tempio

I Cavalieri del Tempio

L’alba di venerdì 13 ottobre 1307, con una vasta retata condotta simultaneamente in tutto il regno, le guardie del re di Francia procedettero all’arresto di tutti quei fratelli dell’Ordine del Tempio su cui riuscirono a mettere le mani. Il giorno prima «Giacomo de Molay sosteneva la coltre mortuaria tra i principi del sangue, alle esequie della cognata di Filippo il Bello» e che lo stesso giorno dell’arresto, il tesoriere del Tempio partecipava alla seduta dello Scacchiere che si teneva a Rouen. L’operazione, peraltro autorizzata dall’inquisitore papale in Francia, veniva giustificata con l’accusa di eresia. La scomparsa e la fine  dell’Ordine del Tempio si compì sul rogo dove nel 1314 Filippo il Bello con la l'assenso di Clemente V fece bruciare l’ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay.
 
 
 
 
UNA MORTE PROGRAMMATA
 
Filippo il Bello oltre alla ricchezza del Tempio bramava piegare i Cavalieri Templari ai suoi desideri, ottenendone obbedienza. Una milizia sparsa in tutto l’Occidente sarebbe stata assai utile ai suoi desideri di potenza. La potenza militare dell’Ordine a quei tempi era notevole, gli si attribuiscono 15.000 cavalieri e 45.000 sergenti, senza contare gli scudieri. In un primo tempo il re propose di fare entrare nell’Ordine uno dei suoi figli, in modo che egli sarebbe diventato al più presto Gran Maestro e governato il Tempio. Jaques de Molay non cadde nella trappola e rifiutò.
 
Bertrand de Got divenne papa col nome di Clemente V nel 1305 con l’energico sostegno di Filippo il Bello re di Francia. Fu lui a trasferire la sede papale ad Avignone e fu ricordato dai cronisti come pontefice avido e simoniaco. La simonia era nel Medioevo la compravendita di cariche ecclesiastiche. Si oppose al tentativo di restaurazione imperiale in Italia fatto da Arrigo VII di Lussemburgo (1310-1313). Morì nel 1314.
  
Nel 1305 il re di Francia d’accordo con Clemente V cercò di mettere i due Ordini militari monacali, cioè quello del Tempio e quello dell’Ospedale sotto la guida di uno dei suoi figli, ma il Gran Maestro rifiutò. Con quest’ultimo rifiuto le condizioni per salvare l’Ordine del tempio non esistevano più e occorreva attuare il piano lungamente tramato negli anni precedenti alla disfatta del Tempio.
  
Verso la fine del secolo XIII, venivano ormai messe in circolazione le dicerie più abominevoli sul conto dei Cavalieri del Tempio, poiché si parlava apertamente di eresia. Nuvole nerissime si andavano dunque addensando sui Templari, preannunciando la tempesta che di lì a poco si sarebbe abbattuta su di loro e li avrebbe spazzati via definitivamente dal mondo esterno. È lecito nutrire il sospetto che tutto era già stato preparato, quando si prende atto che la valanga continua di calunnie verso l’Ordine del Tempio veniva in pratica a coincidere con il definitivo annientamento dei Catari, poi un anno dopo. Nel 1306, Filippo il Bello decise di lanciare contro gli Ebrei del suo regno, «sorretto dalla convinzione che [essi] profanassero di continuo le ostie consacrate». Che il re di Francia ne abbia tratto, come abitualmente viene rilevato, un lauto profitto per il proprio tesoro è fuor di dubbio. Nel 1306 cioè l’anno prima dell’arresto dei Cavalieri del Tempio, il re Filippo il Bello si era rifugiato al Tempio durante le rivolte popolari contro i contraffattori di moneta, e da quella fortezza poteva aspettare senza paura per l’appagamento della furia popolare. Perciò pensò di appropriarsi di una residenza più sicura, più spaziosa e splendida di quella del Palais e del Louvre. La magnifica ospitalità data ai principi dai Templari, possessori di considerevoli ricchezze, sapientemente governate, non poteva non eccitare la cupidigia di un sovrano avido come Filippo il Bello, livido di rabbia per l’onta subita, decise di realizzare i piani programmati per l’annientamento dell’Ordine che aveva più autorità e potere del re.
  
Il Papa di Avignone Clemente V, messo sul seggio dalla corona di Francia, nel 1307 convocava in Francia il Gran Maestro del Tempio, ufficialmente per consultarlo sui preparativi di una nuova crociata in Terra Santa, crociata la cui preparazione, del resto, non sembra essere stata mai neanche intrapresa. Contemporaneamente in Francia si scatena una specie di «caccia alle streghe» nei confronti di parecchi uomini di corte, i quali, tutto a un tratto, sono inspiegabilmente accusati di stregoneria; ed è ancora più strano che provvedimenti dello stesso genere siano stati successivamente adottati, come nota P. Partner, nella corte pontificia e in quella inglese. Considerato il «tempismo» con cui fu portata a conclusione una tale epurazione, il sospetto è che tutti gli uomini colpiti facessero parte proprio del movimento iniziatico legato al Tempio.
 
Per mettere fine alle continue calunnie contro il Tempio, il Gran Maestro Giacomo de Molay chiese a Clemente V di promuovere un’inchiesta (24 agosto 1307). Tale richiesta fu prontamente accolta, ma la risposta che ne derivò, contrariamente a quanto si aspettava il Gran Maestro, si sarebbe rivelata mortale per lui e per l’Ordine del Tempio. L’ostilità clericale verso il Tempio si sommò con quella della corona di Francia avida di potere. Già nel XIII secolo, da più pari all’interno della Chiesa cresceva il malcontento nei riguardi del Tempio. I vescovi privati dai Templari delle cospicue rendite, manifestarono una crescente ostilità nei confronti dell’Ordine templare, alimentata da quanti, cominciavano a denunciare la cupidigia e avarizia dei cavalieri rossocrociati. Nel corso del concilio Laterano del 1179 si giunse, addirittura, a un vero e proprio scontro aperto, in conseguenza del quale l’Ordine fu costretto a restituire sia le decime sia le chiese acquisite nei precedenti dieci anni. Ma nemmeno questo provvedimento papale riuscì a calmare gli umori.
 
Un anno dopo essere stato salvato dalla furia popolare, il re ordinò l’arresto dei suoi salvatori. Il 13 ottobre del 1307 i Templari furono fatti arrestare da Filippo il Bello, re di Francia, arrestati con l’accusa di eresia, cospirazione e atti blasfemi. La fine la leggenda dell’Ordine del Tempio si compì sul rogo, dove nel 1314 Filippo il Bello fece bruciare l’ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay.
 
IL RUOLO DI CLEMENTE V
 
Quanto a Clemente V, cosa pensare della parte da lui sostenuta nella tragedia templare? Egli all’inizio apparentemente manifestò tutta la sua disapprovazione a Filippo, e si affrettò a far pervenire a De Molay e agli altri dignitari imprigionati le proprie rassicurazioni, proclamando loro «le sue migliori garanzie che il tutto si sarebbe risolto felicemente, rincuorandoli e ammonendoli a deporre ogni pensiero di fuga». Nel frattempo i torturatori del re attuavano ogni atrocità.
 
Il papa Clemente V, il quale non poteva non essere informato delle immani torture cui erano sottoposti gli arrestati, e aveva assicurato la propria difesa ai dignitari del Tempio? A poco più di un mese da quella sua solenne promessa, egli aveva la spudoratezza di sollecitare i vari sovrani europei, con la bolla Pastoralis præeminentiæ, perché procedessero all’arresto dei fratelli del Tempio dietro l’accusa d’eresia, al fine di sottoporli poi a tortura. Osserva P. Partner (I Templari p.85): «La cosa interessante circa questa lettera datata 22 novembre 1307, è che riprende la formulazione delle procedure effettivamente adoperate contro i Templari dalla corte francese […]; egli non solo desiderava continuare con gli interrogatori dei Templari francesi, ma desiderava anche ordinare l’arresto in massa e l’interrogatorio degli altri Templari in tutto il mondo cristiano». Nel febbraio 1308 annunciò che la Chiesa avrebbe preso nelle proprie mani la faccenda, riservandosi di gestire personalmente il caso dei principali dignitari. Così riuscì, almeno in parte, a smuovere la situazione: solo un mese dopo venivano portati a compimento i primi arresti nelle Fiandre e in alcune zone d’Italia, come la Puglia. Vista la resistenza all’arresto dei Templari fuori della Francia, il Papa dovette insistere con un’altra bolla, la Faciens misericordiam del 12 agosto 1308, perché in Castiglia e in Portogallo fosse presa finalmente la decisione di imprigionare i Templari. Ci vollero all’incirca nove mesi, quindi, perché le prescrizioni pontificali fossero applicate in tutta la Cristianità, e questo solo per quel che riguarda l’imprigionamento.
 
Clemente V, il papa fatto eleggere da Filippo il Bello, non solo voleva continuare con gli interrogatori dei Templari francesi, ma soprattutto desiderava ordinare l’arresto in massa e l’interrogatorio degli altri Templari in tutto il mondo cristiano. È interessante notare, a questo proposito, che l’esortazione del Papa all’arresto e alla tortura dei tribunali dell’inquisizione fu accolta molto diligentemente soltanto nei domini della Chiesa negli stati soggetti alla diretta influenza della Corona francese. Ciononostante, dovrà ancora insistere con un’altra bolla, la Faciens misericordiam del 12 agosto 1308, perché in Castiglia e in Portogallo fosse presa finalmente la decisione di imprigionare i fratelli Templari.
 
La Pergamena di Chinon datata 17-20 agosto 1308, è un documento medievale scoperto nel settembre 2001 da Barbara Frale, una paleografa italiana presso l’Archivio Segreto Vaticano, afferma che nel 1308 Papa Clemente V concesse l’assoluzione sacramentale al Gran Maestro Jacques de Molay e i restanti maggiorenti dei Cavalieri Templari.  Tutte le successive sollecitazioni all’uso della tortura contro i Templari sono messe nel dimenticatoio. Per l’opinione pubblica cattolica la pergamena di Chinon rappresenta un tentativo fallito da parte del Papa di preservare i Templari dalle macchinazioni del re di Francia, Filippo IV, stabilendo che l’Ordine non fosse eretico, ma i fatti successivi dimostrano l’esatto contrario.
 
Nell’ambiente ecclesiastico del potere temporale si afferma che i Templari morirono sul rogo per mano del re di Francia, ma perdonati e reintegrati nella piena comunione cattolica, dopo che i delegati pontifici li avevano assolti a Chinon. Non asserirono mai dottrine eretiche, non cattoliche, che potessero essere condannate dall’Inquisizione, ma furono traditi da alcune consuetudini che potremmo chiamare, secondo il gergo militare odierno, “nonnistiche”. Di esse il re di Francia, Filippo il Bello, si servì per screditare i Templari agli occhi di Clemente V. Quando il papa si accorse dell’inganno, il re di Francia non esitò a far uccidere, pur di vincere la partita, i due principali capi dell’Ordine, il Gran Maestro Jacques de Molay ed il Precettore di Normandia, Geoffroy de Charny.
 
Tutto ciò è ampiamente smentito dall’accanimento successivo a incitare l’uso della tortura nei confronti dei Cavalieri del Tempio è chiarificante sulla natura morale di questo papa che con il re di Francia formano una coppia di Re Oscuri. È chiarificante la doppiezza della promessa fatta ai dignitari del Tempio appena imprigionati. Jaques de Molay tradito dalle parole del papa, alle soglie della morte chiamò il cielo a testimone perché, per salvarmi la vita e sfuggire ai troppi tormenti, e soprattutto allettato dalle parole lusinghiere del re e del papa, ho testimoniato contro me stesso e contro il mio ordine. Soltanto che quelle «parole lusinghiere» includevano anche un ammonimento «a deporre ogni pensiero di fuga».  Spiegare un simile comportamento con le pressioni che egli possa avere subito da parte di Filippo, non basta certo a giustificare Clemente V. Una vera doppiezza, di sicuro premeditata.
 
 
Figura 1. Tortura tribunali inquisizione
  
Dopo la ritrattazione delle confessioni dei templari sotto tortura, il concilio ecclesiastico provinciale di Sens, non permise la difesa degli imputati pronunciando la condanna definitiva al rogo in base alla ritrattazione, fatta dagli imputati, delle loro precedenti confessioni. I cinquantaquattro Templari che avevano ritrattato le confessioni loro estorte con la tortura furono condannati al supplizio del fuoco. «Con scandalo di alcuni spettatori, alcuni di essi ebbero l’impudenza di protestare la propria innocenza anche mentre venivano condotti al rogo». A capo del concilio vi era Philippe Marigny vescovo di Sens che era il fratello del tesoriere del re. La maggior parte dei vescovi, per non partecipare ai tribunali, parlò di malattie molto opportune e di missioni inderogabili. A dimostrazione che non vi era la minima volontà ecclesiastica di concedere ai Templari la possibilità di difendersi legalmente, la commissione pontificia si guardò bene dall’interporre i propri uffici: l’arcivescovo di Narbona, suo presidente, richiesto di intervenire, «abbandonò la sessione dominicale della commissione “per ascoltare messa”» (P. Parker - I Templari, pag 88-89). Tutto ciò lascia intendere che i promotori di questo processo non potevano non essere consapevoli dell’infondatezza delle accuse, che possiamo quindi giudicare, per sempre, come un pretesto destinato a celare quelle che erano le vere motivazioni. Con questa manovra si spense in Francia ogni ardire: coloro che, riponendo la loro fiducia nella giustizia del Papa, avevano osato prendere le difese del Tempio o si eclissarono o furono rinchiusi in prigione, e della maggior parte di essi non si seppe più nulla.

 
Figura 2. Rogo eretici Templari
  
Nel 1311 Clemente V, si prenda nota di questa data successiva alla cosiddetta pergamena di Chinon, si vedeva costretto a insistere presso i suoi sovrani con queste pesanti parole: “Giustizia vuole che, affinché si appuri nel modo più certo e chiaro la verità dei Templari, essi […] siano sottoposti alla tortura”. La tortura cui furono sottoposti gli accusati fu di una crudeltà che parve spaventosa anche agli stessi uomini del Medioevo […]. I torturatori erano di una ferocia tale che in molte occasioni le vittime morirono prima di poter confessare. Poiché Vescovi e delegati, però, hanno, dimostrando poca sagacia, trascurato questa misura, Clemente V ordina: “Esigiamo esplicitamente che venga applicata nei confronti dei Templari ogni sorta di tortura che porti a una rapida e completa rivelazione della verità”. Nella primavera del 1312 fu riunito il Concilio di Vienna per giudicare i Templari, poiché non essendo in Francia, l’atmosfera non era a loro sfavorevole, Clemente V per evitare brutte sorprese, senza far ricorso al Concilio il papa annunciava la sua decisione di abolirlo, per provvedimento, senza condanna, e si cautelava lanciando “la scomunica contro chiunque osasse utilizzare il nome e i segni distintivi del Tempio”.
 
Nel 1312 sempre dalle solite accuse di eresia, scaturiva un’altra inchiesta ma questa volta indirizzata contro i Cavalieri teutonici, che condusse, nel 1313, ad aprire dei procedimenti giudiziari nei loro confronti; solo che in Germania la situazione non era certo quella della Francia di Filippo il Bello, e così la manovra tentata fallì. A Cipro, le accuse non trovarono riscontro e fu necessario un intervento di Clemente V perché fosse riaperto il processo. In Inghilterra non si applicò la tortura nei confronti dei fratelli del Tempio finché dal continente Clemente V decise di far applicare la tortura e nell’agosto del 1310 furono inviati due esperti inquisitori. Due Templari dopo essere stati torturati, ammisero le loro colpe furono perdonati poi fu la volta di altri 57 Templari. Solo il Maestro d’Inghilterra William de la More e il precettore d’Alvernia, rimasero fermi sulle loro posizioni furono lasciti in prigione, dove il Maestro morì nell’anno della morte del tempio il 1313.
 
Per quel che riguarda il Portogallo e la Castiglia, infine, nel 1311 Clemente V si vedeva costretto a insistere presso i suoi sovrani con queste pesanti parole: “Giustizia vuole che, affinché si appuri nel modo più certo e chiaro la verità dei Templari, essi […] siano sottoposti alla tortura”. Vescovi e delegati, però, hanno, dimostrando poca sagacia, trascurato questa misura. “Esigiamo esplicitamente che venga applicata nei confronti dei Templari ogni sorta di tortura che porti a una rapida e completa rivelazione della verità. I santi canoni esigono che in simili circostanze le persone sulle quali gravano sospetti tanto chiari e inequivocabili siano affidati ai boia del tribunale ecclesiastico” (A. Beck, La fine dei Templari, Piemme, 2004, p. 140).
 
A Venezia, dove l’Inquisizione si trovava sottoposta all’arbitrio dello Stato, essi non vennero neppure infastiditi e per un certo periodo mantennero le loro proprietà. Nell’Italia settentrionale l’arcivescovo di Ravenna, Rinaldo di Concorrezzo, incaricato della commissione di controllo delle inchieste, condannò l’uso della tortura e lasciò che la maggior parte degli imputati non fosse messa agli arresti, con la riserva dei domenicani che non approvarono “quei criteri di serenità e di mitezza”. Il 17 giugno 1311, sette templari di Piacenza, e sei di Bologna negarono con decisione ogni addebito di fronte al concilio indetto da Rinaldo, il giorno dopo furono assolti. Clemente V non contento di ciò accusò Rinaldo di non aver istituito il processo con la necessaria acutezza e gli spedì una lettera durissima intimandogli di riaprirlo usando la tortura. In particolare intimò agli arcivescovi di Ravenna, Pisa e ai vescovi di Cremona e Firenze di riaprire il processo. Pisa e Firenze obbedirono e i Templari confessarono così come accadde nelle camere di tortura di mezza Europa.
  
La tanta sbandierata”pergamena di Chinon” se è autentica dimostra una sola cosa, la doppiezza morale del papa Clemente V, in quale altro modo definire il suo posteriore operato se non come un vero e proprio voltafaccia? E per di più premeditato, non vi era alcuna intenzione a salvare l’Ordine del Tempio la cui distruzione era stata in precedenza pianificata. Nel settembre del 1311 Clemente V aveva indirizzato una lettera al re di Cipro e ai vescovi di Nicosia e di Famagosta perché procedessero mediante tortura contro i Cavalieri del tempio, e aveva incaricato il legato, in missione a Rodi, di ritornare sull’isola per vigilare sull’esecuzione dei suoi ordini.
 
Nelle segrete della fortezza di Domne dov’erano imprigionati i dignitari del Tempio sulla pietra è inciso  Clemens V, destructor Templi MCCCXII. L'anno 1312, riportato nei graffiti, è la data in cui l’Ordine dei Cavalieri Templari fu ufficialmente sciolto dai decreti di Papa Clemente V. Questa la scritta che accompagna la sagoma di papa Clemente V, rappresentato come un mostro a due teste accanto al re Filippo il Bello. Il grido di condanna è palese, è inutile tentare oggi di lavare la reputazione di questo pontefice che avrebbe riabilitato l’Ordine. La verità del tradimento era ben nota ai Templari imprigionati a Domme che sicuramente conoscevano la loro situazione più di quanto la conosciamo noi. Il papa che con doppiezza morale sancì l’annientamento dell’Ordine usando gli strumenti di tortura dell’inquisizione, doveva essere, agli occhi dei cavalieri di Domme, un papa nero dannato.
 
Il successore di papa Clemente V fu Jacques Dueze prese il nome di papa Giovanni XXII (1316-34), personaggio poco conosciuto, ma non meno enigmatico. La sua carriera ecclesiastica è veloce come quella di Clemente V. Fu uno strano papa noto come esperto alchimista: pubblicò diversi trattati su molti settori, tra cui due solo affrontare l’ermetica arte della trasmutazione e L’Elisir dei Filosofi. A livello teologico che sue idee erano perlomeno eretiche, con la logica di quei tempi doveva essere condannato al rogo come avvenne per i Templari. Per questo papa nell’ultimo giudizio, inferno e paradiso non esistono ... e le anime nel postmortem dimorano in una sorta di vuoto: “Sub altare Dèi”. È ovvio che una simile professione di fede attirasse la contrarietà dell’Università di Parigi, che si affrettò subito dopo la morte di Giovanni XXII a condannare la sua dottrina della “visione beatifica”. Papa Giovanni XXII non si fidava di nessuno nel suo terrore di complotti e di diabolici disegni dei maghi […]. Si dice che, nei primi tempi del pontificato di Giovanni, fosse stata sventata una congiura da parte di Ugo Geraud vescovo di Cahors, la stessa regione da cui proveniva anche il papa […]. Nel 1320 nuove accuse di magia vennero mosse contro i nemici politici del papa in Italia.
 
Ulteriori testimonianze dettero luogo ad analoghe accuse di magia, che in un caso tra i sospettati citarono anche il nome del poeta Dante Alighieri. Luigi Valli, scrive “Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore» che a quei tempi «tutti i poeti avevano fama di magi, incantatori o eretici» e che lo stesso Petrarca fu imputato in «un processo impostato contro “nonnullas” di questi poeti», nel quale si purgò, “non sine labore”, dall’accusa di eresia. Il Boccaccio, poi, che dopo la distruzione dei Templari aveva osato tessere le loro lodi, ricevette la visita di «un tale a nome di un certo Pietro nativo di Siena, religioso di gran nome e famoso ancora per miracoli operati. Questo Pietro […] aveva incaricato il visitatore di andare prima di tutto dal Boccaccio e poi da altra gente in Gallia e in Bretagna e per ultimo dal Petrarca, e al Boccaccio doveva dire (minacciare) due cose: “Primo che a lui già sovrastava la morte; secondo ch’egli dovesse rinunziare allo studio della poesia». Anche un’organizzazione nota sotto il nome di «Fratelli del Libero Spirito», fu oggetto di un’accanita persecuzione per buona parte del Trecento. Un clima di cupa oppressione calò in tutta Europa.
 
Affermare che tutto fu opera di Filippo il Bello e che a suo malgrado sia stato coinvolto Clemente V, è un debole schermo per nascondere l’avvento dell’oscurantismo. Nonostante la morte di Filippo il Bello, il nemico del Tempio, come il suo predecessore anche Giovanni XXII, questo papa di Avignone, fu nemico dei Templari: come dimenticare la furia iconoclasta di Papa Giovanni XXII che invitava con bolla Damnatio memoriae e successivi incitamenti “a scalpellare le croci patenti, gli affreschi, i sigilli e i simboli templari da ogni luogo perché se ne estinguesse la memoria in eterno”.
 
La Cappella Templare di Montsaunès situata nei Pirenei francesi, stranamente sfugge a questa distruzione. La cappella dei Pirenei sfugge agli sguardi dell’inquisizione, i suoi affreschi geometri, le sue sculture su temi della Bibbia non destano preoccupazione. In questo modo, per mezzo di un grande libro di pietra, fu preservato e nascosto in piena luce, l’Insegnamento cui si rifacevano i Templari. La cappella di Montsaunès non era destinata al culto popolare ma ai Cavalieri del Tempio e al loro percorso iniziatico. Le autorità ecclesiastiche nel XIX secolo, decisero di ricoprire tutti gli affreschi misterici all’interno della cappella con altre pitture. Tutto sarebbe caduto nell’oblio se in seguito a recenti restauri, avvenne la riscoperta di parte degli antichi affreschi all’interno della Cappella. Fortunatamente le sculture in pietra e marmo si sono completamente salvate[1].
 
In termini pratici fu l’opera dei pontefici, e in genere delle autorità ecclesiali, rivolta alla rimozione pianificata di ogni memoria templare, di ogni circostanza storica e culturale che potesse richiamare il ricordo dell’Ordine. Una simile opera di distruzione sistematica trova fondamento sul fatto che le uniche accuse con fondamento rivolte ai Templari erano di devianza dall’ortodossia di Roma, cioè di eresia: i Templari erano fedeli all’insegnamento misterico, essi appartenevano all’Ordine dei Nazar, un ramo del più grande l’Ordine di Melchisedech. Al tempo del processo dei Templari, e nonostante la poca fede che si ha nelle confessioni, ottenute sotto la tortura, dai domenicani inquisitori, è una confessione costante, quella in cui si afferma che nel momento di entrare nell'Ordine dei Cavalieri si chiedeva loro di rinnegare il crocifisso. Essi non rinnegano il Cristo, figlio di Maria, ma la croce di Pilato. E la confessione di questo rinnegamento sarà fatta non solo in Francia, dove la feroce tortura dell’inquisizione otteneva qualsiasi risposta, ma ancora in Inghilterra, dove la tortura non fu mai spinta a tali eccessi, e neppure applicata del tutto. Con ogni evidenza, i Templari fanno una distinzione tra il Cristo e il Crocifisso. La Damnatio memoriae di un certo tipo di ricordo eretico ancora permane in certi ambienti ecclesiastici.
 
La mancanza di documenti cartacei e murali sui Templari non sorprende, fortunatamente alcuni affreschi e sculture che furono risparmiate perché non compresi, o che erano posizioni isolate e poco conosciute, ci tramandano il sapere templare. Sono rimaste veramente poche le vestigia di quelle che furono potenti Commanderie, Mansio fortificate o Domus rurali, addirittura spesso rimane solo una pietra incisa, una croce patente spezzata o riutilizzata, inserita quasi a caso in un muro, in un arco di volta con simboli solari. In Francia quello che non fu fatto in conseguenza della damnatio memorie, fu fatto dai rivoluzionari che videro negli edifici sacri il segno del potere clericale. L’abolizione dell’Ordine non fu un avvenimento indolore: fece registrare un po’ ovunque pesanti ripercussioni di carattere sociale ed economico, culminate con le carestie seguite dalla terribile epidemia di peste nera che decimò gran parte della popolazione in tutta Europa.
 
Filippo il Bello e i suoi, non trovando l’oro dei Templari presentarono un lauto conto per le spese di mantenimento sostenute durante la reclusione dei cavalieri. I Cavalieri di Malta, che secondo la bolla papale dovevano ricevere le ricchezze templari dovettero alla corona circa un milione di lire tornesi. La somma, probabilmente, superava il valore dei beni che l’Ordine di San Giovanni era riuscito effettivamente a ereditare. Le proprietà dell’Ordine del Tempio erano già in mano al re o ai suoi vassalli, e non furono restituiti. Presumibilmente rispondono a verità le parole di Sant’Antonino: “I Gerosolimitani, con la donazione dei beni dei Templari, invece di arricchirsi si sono impoveriti”. Il 13 marzo 1311[2] il papa, per non correre il rischio di nuove assoluzioni da parte di concili periferici non direttamente controllati da Filippo il Bello, ordina di usare la tortura contro i Templari. Da questo momento in poi non potevano più esserci dubbi sulle reali intenzioni del papa, e da allora egli diventa l’anticristo per Dante che nella Divina Commedia lo pone nell’Inferno.

[1] Vincenzo Pisciuneri – Cappella Templare di Montsaunès I – la Pietra.
[2] Il numero tredici ha accompagnato la nascita e la fine dell’Ordine Templare.
LE ACCUSE DI DANTE A CLEMENTE V
 
Dante e i Fedeli d’Amore erano esotericamente collegati con l’Ordine dl Tempio. Non a caso colloca San Bernardo come sua guida, che al trentesimo canto prende il posto di Beatrice. È San Bernardo che porta Dante fino a Dio, il che significa che è più importante di Beatrice. Mettere in dubbio che Dante non fosse vicino ai Templari, o scrivere che San Bernardo è stato scelto da Dante perché è “molto devoto alla Vergine”, è fuorviante.
 
Il posto che Dante dà ai Templari nella Divina Commedia mostra quale importanza avesse secondo lui l'Ordine nella vita politica del suo tempo. Dante, che ha attaccato fieramente i Francescani, i Domenicani e in generale i papi, la Chiesa ed il clero, non ha una sola parola contro i Templari, anzi ne prende apertamente le difese. I Templari, Filippo il Bello e Clemente V costituiscono grandissima parte dell’allegoria politica della Commedia[1]. L’attacco di Dante contro i Francescani si comprende dal fatto che l’inquisizione medievale (XII al XVI secolo) fu affidata ai frati domenicani nel 1235 e ai francescani nel 1246. L’opera di San Francesco e di frate Elia dopo la morte di Francesco erano state snaturate e occultate. Domenicani e Francescani approfittarono del loro potere inquisitorio per arricchire i loro ordini.
 
Il rapporto con i Templari poi è indirettamente confermato anche dal giudizio che Dante dà di Clemente V, definito nell’Inferno un “pastor senza legge”, intento a favorire il re di Francia come Giasone di Gerusalemme con re Antioco Epifane di Siria, dal quale aveva comprato la carica sacerdotale. Clemente nell’Inferno, è destinato ad andare a prendere il posto di Bonifacio e quindi a bruciare col capo all'ingiù: e farà quel d’Alagna esser più giuso. Nel Purgatorio è definito “puttana sciolta” in tutto Clemente V è nominato ben sei volte. Dante ne profetizza la dannazione per simonia (Inferno, XIX, 79 e seguenti), per bocca di papa Niccolò III che compare fra i simoniaci della III Bolgia. Dante è meno adirato contro il papa perché simoniaco e corrotto, qualità ben diffuse nella chiesa di allora, ma perché nemico dell’Ordine e fautore della sua soppressione. Beatrice, in Paradiso, che rappresenta la Sapienza Divina, lo condanna perché “prefetto del foro divino”, e cioè massimo giudice nel tribunale che condannò i Templari.
 
Dante allude a un sospetto che Bertrand de Got, il futuro Clemente V, avesse incontrato nella foresta di Saint Jean d’Angeli, Filippo il Bello, che in cambio del suo appoggio all’elezione al papato avesse chiesto, tra altro, la distruzione dell’Ordine del Tempio. Probabilmente si stipularono accordi segreti: il papato in cambio d’indicibili favori a Filippo “il Bello”, a cominciare dalla testa del Gran Maestro Templare per finire con il trasferimento della sede del Papa ad Avignone.
 
L’allusione alla profanazione dell’Ordine del Tempio a Parigi, la cattura e l’incarcerazione dei Cavalieri appare palese nel 33° canto del Purgatorio che inizia con le parole del salmo 79:
 
Deus, venerunt gentes polluerunt templum sacrum tuum” (Dio, vennero genti che profanarono il tuo tempio sacro)”.
 
Dante individuava come causa primaria di degenerazione l’Ecclesia Carnalis, originata dalla mistificazione della “Donazione di Costantino”, un falso della cancelleria vaticana di quei tempi, divenuto causa del potere temporale della chiesa, un’aberrazione! All’Ecclesia Carnalis contrapponeva la “vera Chiesa”, l’Ecclesia Spiritualis, che si sosteneva sulla sintonia della “scuola dei Fedeli d’Amore” con Gioacchino da Fiore, e con Bernardo da Clairvaux, annoverati tra i grandi promotori dell’Ordine dei Cistercensi e dell’Ordine Templare.
 
Si narra che dal rogo il Gran Maestro de Molay abbia maledetto il papa ed il re di Francia. Papa Clemente V morì soltanto quattro settimane dopo del Gran Maestro: un candelabro, cadendogli addosso, appiccò il fuoco al catafalco. Ciò suscitò grande impressione sul popolo, che lo interpretò come un castigo di Dio. Anche il Re Filippo il Bello lo seguì presto: morì nell’autunno dello stesso anno. Nogaret, astuto consigliere e siniscalco del re invece, morì poco prima della sentenza del Gran Maestro. Anche il vescovo di Sens Filippo de Marigny (fratello di uno dei ministri del re) che fece bruciare cinquantaquattro Templari non si sottrasse all’infausto destino: dovette assistere impotente all’impiccagione del fratello Enguerrand (che aveva preso il posto di Nogaret), con l’accusa di stregoneria. Si parla per questi motivi di una «vendetta templare», ma questa è affidata al divino non agli uomini. Dante espone questa vendetta in una strofa della Divina Commedia:
 
O Signor mio, quando sarò io lieto
A veder la vendetta, che, nascosa,
Fa dolce l’ira tua nel tuo segreto?
 
Nella citata terzina Dante dice che tale «vendetta» è nascosta e contenuta nel segreto del Principio. Il fatto che a pochi mesi di distanza dal rogo dei dignitari templari morirono a loro volta anche Clemente V e Filippo il Bello, certamente deve aver contribuito, a determinare la leggenda della maledizione lanciata dall’ultimo Maestro sul rogo. Ad aumentare il mistero della leggenda della vendetta divina, cioè della Nemesi o del Karma fu la sorte di Luigi XVI, l’ultimo successore della linea di sangue dopo Filippo il Bello. Egli fu imprigionato nella torre del Tempio di Parigi nei giorni convulsi della rivoluzione francese, in seguito decapitato quattrocento anni dopo gli eventi drammatici della fine dei Templari.
 
Dante citando il Vangelo di San Giovanni (16,16) fa dire a Beatrice formula una sibillina profezia: “Ancora un poco e non mi vedrete più, e un altro poco e mi vedrete di nuovo”. L’Ordine del Tempio che muore e poi risorge. Ma quando? La profezia è legata al Cantico dei Cantici di Salomone.
 
Non svegliate, oh! Non svegliate la Diletta che all’ora scelta da Lei.
 
La Diletta è l’Arca o meglio il suo Potere in letargo, che è come la principessa addormentata sino a che non arrivi a svegliarla il principe azzurro nei tempi prescritti. Un Potere che può essere risvegliato solo dall’Ordine designato da Melchisedech, quando giungerà il tempo, e la Chiesa di Roma spiritualmente libera da intrecci di potere, e fino allora dovrà essere occultata e protetta dalle mani delle potenze oscure, Il re di Francia e il potere temporale cui papa Clemente V era l’esponente di spicco, hanno operato si presume non coscientemente per tali potenze oscure.


[1] A. Reghini, La tragedia del Tempio.
 
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